E’ come lo yoga delle quattro o la meditazione serale, la corsetta mattutina o o la palestra o la pennichella: tutti momenti dedicati a te, che fai ogni giorno o quasi, per hobby, per divertimento, per mantenerti in forma, per inerzia, o quasi come un rito.
Un po’ più stuzzicante, in effetti, ma il senso è quello.
Un po’ più di fantasia. Membra tese e muscoli vivaci, smania e prurito, desiderio e paura, voglia di spaccare e voglia di farsi fare. Si fa in compagnia.
Un po’ più imprevedibile quanto a sviluppo ed esiti, un po’ più rischioso o foriero di stranezze e novità, e per questo più intrigante.
Un po’ più impegnativo quanto a ricerca del momento ad hoc e dell’incastro giusto.
Dopo, forse non stai meglio. Durante però ti sembra di non essere lì e questo è già un sollievo. Che si deve fare? Lo so che non avete risposte, appunto, come non ne ho io, quindi inutile chiederselo o chiederlo. Si fa, con continuità, con precisione impiegatizia, con solerzia quasi professionale. Giocando seriamente, come fosse un dovere e non solo un piacere; e quando sei “costretto” a farlo, e il copione è poco dignitoso e un poco vergognoso, sai trarne comunque il tuo piacere di attore consumato, in un vortice che ti risucchia, sia tu re o suddito, padrone o schiavo, cliente o cameriere, femmina o maschio, manico o secchiello.
E’ un impegno quasi fisso, che non è ossessione quotidiana ma abitudine ossessiva, che vuoi tu ma che anche ti è imposta, come un gioco di potere che ti regala vortici di sadico e perverso dominio come una punizione meritata e piccante cui ti sottoponi con umile e docile obbedienza; come un tè delle cinque, solo che a volte tu sei l’Inglese che se lo gusta con piacere e con i giusti biscottini e a volte sei il tè caldo nella tazza.
La routine appetitosa del travet erotomane.
Il cartellino presenze del ligio burocrate dell’amplesso.
L’ennesima tacca scalfita con orgoglio sul bastone del don giovanni o dell’alpinista.
La marchetta lubrica e scandalosa della meretrice del terzo piano.
“Tutti i muscoli del corpo pronti per l’accoppiamento”.
Il timbrino giornaliero sulla tessera punti o fedeltà.
La tua oasi di libertà o la tua gabbia di schiavitù.
Quel che ti fa volare nell’accecante piacere del possesso o che ti sprofonda nell’infimo e inconfessabile gusto della sottomissione.
Sei scandalo e dai scandalo.
Il mondo ti guarda di nascosto, eccitato e divertito, curioso e scandalizzato, ma lubrico e diabolico, e finge di indignarsi ma ti chiede di continuare, e si prende senza indugio, quasi vergognandosi ma anche orgogliosamente, il suo piacere inconfessabile di santo guardone.
E quando non si fa aspetti il giorno che si fa, e quando si fa lo fai senza domande, come fosse ormai cosa nota e parte della giornata, sempre in equilibrio sul filo del possibile, con l’orologio a scandire i tempi, il sole a darti lo stop, la mattina o il dopo pranzo a darti il via, e poi il mondo che riprende il sopravvento e un inferno di disordine da sistemare in fretta, un umido teatro da riassettare, senza dimenticare il minimo dettaglio di questo spettacolo da giocoliere.
Comandi e imponi e regni o subisci e sei usato e manovrato, in un vortice che sospende il tempo e ti astrae dallo spazio: non sei più lì, potresti essere ovunque, potrebbe accaderti qualunque cosa, non ti curi più degli altri e del mondo di fuori, non esiste più nulla tranne quel che sei e che fai o ti fanno.
Una pausa caffè al bar dello sfizio e del perverso, un giro sull’ottovolante dell’indicibile, una sorsata di abisso, una leccata di caramello, una panna che monta, un muscolo che tende fino a scoppiare e una crema che spruzza, al galoppo senza sella e sei cavallo o sei fantino, ma sempre cavalchi nelle praterie della dimenticanza, ti annulli e riemergi, rinasci da padrone o da schiavo, per essere servito o per servire, fino a quando è ora di riprendere la vita e mollare questi giochi infamanti e dissocianti, con finali repentini e con foga da amanti scoperti, pepe al culo e muscoli tesi, fino al prossimo tuffo in questo mare agitato, lubrico e indecente, in cui sei squalo o pesciolino ma sempre ti dimeni come in gabbia un topolino.
autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
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