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domenica 31 marzo 2024

Sogno rigato


Lei è sessualmente una rovina. 
Ovviamente non ne farò il nome, ma lei potrà riconoscersi, se si ricorda di essere acuta di mente come lo è di sguardo. 
La conosco da anni, non da sempre. Non è la più bella del mondo (devo essere oggettivo nei giudizi, non lo è, anche se quando compare non cerchi altro nel mondo), non ha misure da pin up, non è giovanissima. Ma il solo annuncio della sua presenza agita gli ormoni, è roba chimica, non spiegabile. I più navigati possono tenere la nave sotto controllo ma non impedire che ondeggi oltre i limiti. Una così la vuoi e basta, non ti chiedi perché e non guardi i dettagli.

Però c’è un però. Se devo giudicarla da conoscente quale sono (di più lei non permette, nemmeno il livello “amico” è praticabile con lei, e ovviamente mi andrebbe benissimo, data l’oggettiva situazione in essere), non posso omettere di dire che è troppo fredda.
Forse non lo è con chi sta con lei, ok. Ma questo non vuol dire nulla: è proprio lì che io ti giudico, facile essere giusta col tipo o con la tipa.
Troppo secca quando scrive un messaggio, poco affettuosa, ruvida, “distante”. Quell’asciutezza dei modi e della parola, quella sbrigatezza che potrebbe anche eccitare, ed eccita, se restiamo sul piano del flirt, ma che alla lunga, nell’ambito invece di un rapporto, come detto, e purtroppo, meno che amicale, ostacola e corrode. Non spreca mai una parola. Non ti cerca mai. Sembra quasi sempre farti un favore. Penso che se non ci fossero incontri occasionali (non frequenti), ragioni pratiche (comunque rare) o occasioni standard (es: festività) o qualche mia sporadica invenzione potrebbe anche non contattarmi per mesi e mesi.

E’ un vero peccato. Non è un difetto da niente. Puoi passarci sopra se ti interessano le due o tre ciulatine d’ordinanza e basta, altrimenti ti disturba e ti influenza, nonostante l’ormone vada avanti per la sua lubrificata strada.
Rovina un po’ il sogno.

Del resto io di persone perfette non ne ho ancora incontrato. Ok, non lo sarò neanch’io (ammettiamolo: oggi sono buono), ma ci sono difetti e difettini.
Comunque, ribadisco: è una delusione. Perché davvero è calamita e tu sei ferro, non si resiste, ha qualcosa di non spiegabile e che attiene alla sfera dell’attrazione sessuale, è femmina prima che donna, e la cosa strana è che non è, come ho detto, una che faccia chissà che per espandere i suoi effluvi chimici, o una bambola dalle dimensioni classiche, ma una donna “normale”, qualsiasi cosa voglia dire questo termine, forse di quella normalità che è poi la cosa migliore, ma comunque non tale da giustificare una roba simile: infatti è proprio una roba chimica, che agisce e basta.

Resta un sogno, ma rigato. 

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martedì 5 marzo 2024

Padri

Se mi guardo indietro, in diciotto mesi ho visto morire tre padri. Nessuno era giovanissimo, ma nessuno aveva un’età eccessiva.
Muoiono quasi sempre prima i padri, è una vecchia storia.

Se penso ai miei zii, ne sono morti tantissimi, uomini e donne, anche perché ne avevo tanti (diciotto, sopravvissuti cinque) ma adesso ho ben quattro zie vedove, inclusa mia madre.

Le tre famiglie erano oggettivamente diverse fra di loro, e poi la mamma è sempre la mamma, ma in certe famiglie il babbo è un po’ più babbo specie se la o le figlie sono femmine e non piccole.

Un padre è quasi sempre una figura secondaria: come puoi contrastare la figura della madre che ti porta in grembo, ti allatta (in un modo o nell’altro) ed è sempre quella, specialmente fino a qualche decennio fa, che ti sta più dietro e ti difende di più, dalla vita e dagli altri? E poi una volta lavorava solo il padre, e quindi era spesso via; oggi le cose sono un po' cambiate ma non moltissimo.

Oggi esistono padri un po’ diversi, che sono pure mamma, e che a volte sono più mamma della mamma, una volta questo era rarissimo, ma insomma: il dominio della mamma è ancora imbattibile. Ecco perché se mai avessi avuto un secondo figlio sarebbe stata mia intenzione condurre un esperimento innovativo riguardo all’allattamento. Mi limito a educare in modo non tradizionale la mia unica figlia.

Tornando ai tre padri, se ne sono andati e hanno lasciato un bel vuoto. In molti casi la scomparsa del padre apre il regolamento di conti, ma non sempre è così; quella della madre quasi mai, e questo perché il padre, pur se figura secondaria, è in genere quello da cui dipendono molte cose, economicamente e no.

Forse i padri son quelli che combinano più guai, anche se io credo che le donne siano solamente più astute. 
Forse sono quelli che uniscono di meno, ma anche qui non ne sono poi così tanto sicuro.
Di certo è una figura ingrata, bistrattata, secondaria. Molte diranno: a ragione. Non so. Ma così è.
Se guardiamo a quel che succedeva sino a pochissimi decenni fa, vediamo che sono quelli che rischiano di più, fanno i lavori più pesanti, affrontano le situazioni più pericolose e si consumano di più; tutto questo, unito a una maggiore forza ma a una minore resistenza fisica (non devono procreare), giustifica forse la loro minor longevità.

Quel che mi ha ispirato questo breve post è un pensiero per questi padri bistrattati che dopo aver costruito una famiglia con fatica e spesso averla anche tenuta su, sebbene in maniera non appariscente, se ne vanno e non tornano più.

Si dice che è innaturale che un genitore sopravviva a suo figlio, e può esserci del vero. In compenso la morte di un genitore è sempre una cesura netta, dolorosa, totale, una ferita slabbrata che sanguinerà sempre, che mette un punto con un prima e un dopo. Anche se tua madre ti ha allevato senza cura, anche se tuo padre era spesso assente, anche se si sono divisi malamente; figurarsi se questo non è accaduto.

Con la morte del primo genitore cominciamo un pochino a morire anche noi, che magari eravamo a quel punto già assai fiaccati dalla vita, oppure no; comincia quel processo, inavvertibile e lentissimo, che ci porterà alla fine.

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sabato 2 marzo 2024

La luce di oggi non ha incontrato i suoi occhi




In ottantotto anni ne ha viste tante, chissà quante difficoltà ha incontrato e quante ne ha superate, quanti colpi la vita gli ha inferto e quanti di questi colpi è riuscito a trasformare in ferite di guerra e segni di forza, chissà quanti miliardi di miliardi di pensieri ha avuto e quante belle cose ha fatto, chissà quante volte ha detto cose bellissime e quante volte ha perso l’attimo per dirle, e anche quanti errori ha fatto, è naturale. 

Ha attraversato tempi diversi e ha visto molti dei principali cambiamenti di questo indecifrabile mondo degli uomini, ed è la prima persona “conosciuta” che ho incontrato in questo quartiere, ancora non gli avevo parlato e già era incredibilmente parte del nostro passato, in qualche modo, all’inizio per noi di un nuovo presente. 

E’ un uomo del secolo scorso ma anche di questo, perché aveva saputo adattarsi come e meglio di altri ai cambiamenti, tanto da non apparire mai fuori posto o datato, né come agire né come pensiero, e dato che un “Secolo” me lo recapitava ogni giorno nella buca…

Mi è sempre parso un uomo che si misura sulle lunghe distanze e sulle cose importanti, uno che agisce senza dar troppo a vedere, genovese dentro, sia pure in esilio parziale, genoano di fede sportiva, uno di quelli, intuisco, che si sbilanciano poco ma se lo fanno non serve la firma su un foglio; uno di quelli che di rado si impone ma quando sente che è necessario sa come farlo; sia pure in terra apuana, ancorché di confine, la sua genovesità si respira a pieni polmoni anche in casa, ne sono intrise le pareti, era qualcosa che si sentiva nell’aria, è qualcosa che si sente nell’aria, in quel piccolo pezzo di Genova che ho qui accanto. 

Padre presumo attento e capace di due brave e notevoli figliole, accompagnato da sessantasei anni a chi, anche lei poco appariscente ma di forte presenza, in queste ore avrà mille tristi pensieri, ha avuto la fortuna di poter vivere sempre accanto a chi gli era più vicino, dal primo all’ultimo giorno, in una specie di famiglia allargata che funzionava alla perfezione in un delicato gioco di incastri che intuisco non sempre agevoli: non è poco, davvero non è poco. Un passato da lavoratore, una famiglia in formazione, gli anni della pensione e poi il nuovo ruolo di nonno e di cuoco. Sempre misurato e cortese, silenzioso ma non distante, garbato ma non affettato, abitudinario ma non noioso, serio ma non freddo, nonostante apparisse poco era sempre avvertibile la sua presenza, discreta ma costante, forse più quando era assente che quando lo avevi davanti, insomma più di luce riflessa che diretta, ma sempre in grado di illuminare quel che aveva bisogno di esserlo; non era il lampione che illumina a giorno la piazza e quasi disturba, ma la lampadina umile e cortese, poco lodata e poco notata ma indispensabile, che ti guida su per le strette e ripide scale e senza la quale avanzi a fatica; non era solo il democratico e indiscusso re del castello, ma anche l’oscuro ingranaggio che in silenzio faceva girare il meccanismo, quel meccanismo complesso e fragile che si chiama famiglia o famiglia allargata (alla maniera degli avi), quell’ingranaggio che non diresti e che invece è alla base del movimento, quello intorno a cui ruotavano le altre parti: senza darlo a vedere, era il tutto anche se non lo pareva, solo chi rifletteva un poco ne aveva la percezione. Io lo conoscevo un po’ ma non moltissimo, eppure si avvertiva la natura di brava persona, quello stampo di persone oggi sempre meno in voga. 

E adesso, passato un poco di tempo da queste ore di confusa sorpresa e di afflitto dovere, la sua presenza non sarà meno avvertibile, perché quando si è come lui se ne va il corpo, se ne vanno per sempre le sue debolezze, la sua ombra, i suoi gesti, ma non l’impronta che lascia sulle persone, sui luoghi, sulle cose. E il meccanismo continuerà a girare, perché quello che lo teneva su non era di certo solo la spoglia mortale.

Non è mai il momento giusto per andarsene, ma quel momento arriva sempre. E, dopo, nulla sarà come prima, perché nulla è mai come prima, ogni giorno lascia dietro di sé cose che non avremo più o che avremo ancora ma non così, è una corsa senza sosta e senza senso, un percorso a perdere, in cui occorre cercare di trattenere quel che si può e resistere ai colpi avversi. Ogni giorno ci toglie qualcosa, ci infligge un piccolo o grande colpo, ci fiacca vieppiù, e ogni mattina è sempre più dura ricominciare. Questo vale per tutti, anche per chi ancora è nel fiore o quasi degli anni, e ancor di più per chi è agli ultimi giri, cambia solo il grado con cui si percepisce questo lento sfiorire: avanzi e gli altri che cadono, i tempi che inaridiscono, il corpo che ti abbandona sono tutti piccoli tasselli che se ne vanno piano piano, con spietata costanza, e lasciano il mosaico sempre meno comprensibile e godibile.

Dopo un antico e grande dolore mai dimenticato, che ha avuto nel fiore della sua età adulta e che immagino impossibile da superare del tutto, e dopo la gioia di aver visto comunque le sue due creature più fortunate al loro giusto posto nel mondo e, infine, un meraviglioso nipote, aveva avuto negli ultimi anni qualche guaio fisico, anche rilevante, sempre superato brillantemente; quest’ultimo, improvviso e che pareva anch’esso esorcizzato, con un colpo di coda notturno, proprio quando pareva appena cominciato l’ennesimo percorso di recupero, lo ha fermato.

Potrei anche pensare che non avesse più risorse, fisiche o spirituali, per fare anche questa salita, che non avesse più voglia di salire per l’ennesima volta quella scala lunga da cui era già precipitato anni fa, e se così fosse lo capirei benissimo: invecchiando la voglia di ricominciare da capo o quasi diminuisce e anche l’amore per chi potresti lasciare, intatto, non riesce a rinfocolarla: sai che il tuo amore non li lascerà mai, e che non appassiranno mai i fiori nati dai semi che hai gettato in loro, ma senti anche che davvero non ce la fai più a reggere il timone e che è ora di andare in coperta per la lunga notte.
Oppure, semplicemente, il caso che regola le nostre vite ha deciso che quello era l’attimo (in)giusto per cancellare un altro coraggioso tentativo di rimettersi in piedi e riprendere l’incerto ma lungo cammino di un capitano mai domo, ferito ma non distrutto, colpito ma non sconfitto,  consegnando invece al ricordo quel che prima era vita e che comunque, superati questi istanti, non sarà mai morte del tutto, anche se, per come siamo fatti, la presenza fisica è così potente da stordire quando viene a mancare.

A volte avevamo parlato un po’ più a lungo dei soliti saluti tra vicini e avevo capito con certezza sorprendente quanto fosse orgoglioso della sua famiglia e delle sue figlie: cose che di rado si riescono a dire agli interessati, semmai è più facile farle capire indirettamente, con i gesti, gli sguardi, la presenza e che a volte, paradossalmente, è più facile che traspaiano da discorsi casuali con persone che sono conoscenti o poco più. Della compagna di una vita non si era parlato, non eravamo in totale confidenza, del resto si tratta della famiglia che più mi piace fra quelle che frequento meno, se mi si passa questa definzione, ma direi che sei decenni abbondanti dicono molte cose anche a chi non le sa tutte.

Questa mattina ho saputo, e meno male che piove e il cielo non ha squarci di stupido sereno ma solo una cappa color piombo che inzuppa gli uomini e le cose, perché davvero non sarebbe stato adatto un tempo diverso.

Si chiama Vito. 

autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it) Per tornare alla home page clicca qui. Se questo blog ti interessa e vuoi essere aggiornato sui suoi contenuti iscriviti al mio feed oppure seguimi via mail. Se vuoi segnalare questo articolo clicca sul titolo del post e vai a fondo post.

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