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mercoledì 31 maggio 2023

30 maggio 2023, sera: LIBERI





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martedì 30 maggio 2023

Siete sporchi e sporchi resterete


E chi difende questi dirigenti non è un tifoso, è un complice morale dei bari.
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Quattro colossali illeciti (oltre a quello già costato dieci punti e svariati mesi di squalifica ai dirigenti, dichiarati colpevoli).
La violazione del dovere di lealtà sportiva: non esiste nulla di più grave nello sport. Nulla.
Quattro colossali illeciti, vergognosi, immondi, spaventosi, clamorosi, provatissimi, puzzolenti, messi in atto da una dirigenza che sa solo barare, che sa vincere solo con l’inganno, da una società che nella sua vita ha avuto mille scandali e mille processi, che ha una storia piena di sporcizia mai tirata via; quattro truffe colossali, degne di banditi professionisti, che verranno cancellati da una richiesta di patteggiamento (rei confessi: dopo tante manfrine, confermano quello che le indagini hanno provato senza alcun dubbio).
Si parla di due-tre punti di penalità (ahahahaha) e una multa, per una società che ha partecipato e vinto tornei ai quali senza la truffa non avrebbe potuto iscriversi. Interi campionati truccati. Scudetti che valgono come lo sterco, anzi meno, ché lo sterco concima, queste truffe rendono sterile ogni cosa che toccano. Due-tre punti per questi fenomeni che si vantano degli scudetti vinti senza nemmeno saperli contare e che vaneggiano di 9 scudetti di fila, e che in Europa non hanno mai vinto quasi niente, in rapporto alle possibilità, perché non hanno il trattamento che viene riservato loro, da sempre, in campo e fuori, qui in Italia da un sistema marcio, corrotto, colluso. Due-tre punti come il mancato rispetto di una scadenza (a chi paga in ritardo gli stipendi danno  quattro punti, questi hanno truccato interi bilanci e sono pure società quotata in Borsa). In pratica se la Samp non rispetta la scadenza del 30.5 per gli stipendi, prenderà 4 punti di penalizzazione nel prossimo campionato, più della Juve, una roba che fa ridere. Mancano le parole per definire questo abominio, questo trionfo dell’illegalità, della porcheria, del gioco sporco. Il calcio è finito.
Hanno di nuovo rubato scudetti, dopo Calciopoli. A questo punto ha davvero senso chiedersi per quanti della trentina e passa di titoli di cui si fregiano potremmo dire che non si è indagato e quindi non sono emersi illeciti. Hanno vinto barando, la serie dei 9 scudetti è falsa come Giuda, dovete nascondervi per la vergogna, fate ribrezzo, siete inaccettabili. Avete vinto sottraendo scudetti a chi li meritava. E come con Calciopoli, si esaminano solo due anni di un periodo molto più lungo e quindi con tutta probabilità marcio come i due anni esaminati; a differenza di Calciopoli, non si fa nemmeno finta di punire chi ha barato.
La retrocessione in  B sarebbe stata un regalo, questa società meritava di finire in C (una società meno potente sarebbe stata radiata). 
Spero che l’UEFA li estrometta dalle competizioni per diversi anni, ma in ogni caso quel che si profila in Italia è la dimostrazione che la serie A è marcia, assolutamente marcia, profondamente e irrimediabilmente marcia (del resto gli arbitraggi ce lo confermano ogni sette giorni): dominata da squali delinquenti che truffano e restano impuniti.
Se sarà così, il calcio in Italia è finito. Chiunque, potente, da domani potrà barare, truccare bilanci, creare soldi dove non ci sono, pulirsi il deretano con i regolamenti e le leggi, iscriversi con carte false ai campionati, rischiando nulla. E questi godono pure nel vincere col trucco, il bello è che barano, lo sanno e quando vincono barando sono felici: Freud ci sguazzerebbe. Fate schifo. Siete un esempio schifoso per chiunque ami lo sport, per i vostri figli, per tutti i bambini del mondo. Siete la rovina dello sport, insozzate ogni coaa che toccate.
Il sietema calcio e questa Juventus fanno schifo.
E tutti i tifosi che invece che prendersela coi loro dirigenti colpevoli marci continuano a parlare di complotto sono semplicemente dei sempliciotti  idioti e privi di qualsiasi valore sportivo, dei tapini che con lo sport non hanno nulla a che fare.



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Solita storia, non capite mai un belino fino a quando non prendete una tramvata sul muso


La mia pazienza sembra infinita ma, vi do una notizia in anteprima, essa è finita (come le risorse naturali che ci stiamo allegramente fottendo da decenni per far arricchire i soliti quattro scemidimmerda con l’oro anche in bocca). Cioè, non è finita nel senso che è già esaurita, è “finita” nel senso che è una quantità notevole ma DETERMINATA.
Molti non considerano questa circostanza e avranno, prima o poi, se ovviamente non vado affankulo prima, una sorpresa amara.
So che arriverà quel giorno, lo so ontologicamente.
Non so quando, però.
Ma il problema è vostro.

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lunedì 29 maggio 2023

Ogni partita una festa sarà

“Ogni partita una festa sarà...”
Ditemi se non teniamo fede a questo principio!
Questa canzone è parte dei testi sacri e contiene molti principi fondanti dell’essere blucerchiato.
In questi giorni, in questi anni, dirsi doriani potrebbe essere difficile, ma non lo è per chi è doriano davvero: perché è proprio quest’anno che ci ha unito ancor di più, e mai, dico mai, in 56 anni mi sono nascosto, e quando si perdeva e quando si vinceva. Dirsi doriano è così bello: è un segno di grande valore e degno di rispetto, è sport puro e bello, è vita.
Rivendico la mia sampdorianità come sempre e più di sempre, son tempi duri ma non poi così tanto se dentro hai questo fuoco.
Proprio in queste ore si dice che sia in corso un incontro con chi, dopo aver avuto questo gioiello di società, col bilancio sano, una storia da favola e un pubblico incredibile, in regalo (pagò un euro, il tizio che aveva superato tutti i filtri del fenomeno), l’ha distrutta, portandola sull’orlo del fallimento, dopo aver creato immani voragini debitorie. Se avesse un briciolo di dignità, un tizio che ha ricevuto in regalo una società e l’ha distrutta ripagherebbe tutti i debiti, o quato meno chiederebbe scusa al mondo, umilmente, senza pretendere nulla e facendosi da parte. Invece costui insiste e chiede decine di milioni per salvarsi il kulo, e così facendo sta condannando diverse imprese al fallimento (i creditori) e una società sportiva che ha fatto la storia e che è nota in tutto il mondo al fallimento.
Non c’è partita fra noi e lui, fra noi e quelli che da mesi, da anni, stanno remando contro. Noi siamo il pulito, noi siamo la faccia buona e pulita del calcio. Comunque andrà, noi abbiamo già vinto e il marcio ha perso.



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sabato 27 maggio 2023

Diteglielo voi





Le toglierò il saluto. 
La leverò dalla rubrica, dai social.
Non farò più quella strada se non in auto e non vi parcheggerò più (costerà sacrifici, ma saranno sopportabili).
Cambierò marciapiede.
Non la chiamerò più, non le scriverò più, non risponderò ad eventuali chiamate o messaggi.
Non alzerò più lo sguardo passando in auto di lì.
Murerò quel che va murato, avrò solo meno luce e meno aria, ma più di ora...
Non comincerò mai nessun rapporto neppure di banale conoscenza con chi ha lo stesso nome.
Prenderò qualche intruglio chimico per bruciare nel mio cervello tutto quello che nel mio cervello ha lei dentro: quindi, morirò.
Farò finta che non esista e non sia mai esistita. 
E limiterò moltissimo la frequentazione con chi è suo parente/amico, fino a non vederli più, per non dover sempre pensare a lei.
Non servirà a salvarmi, ma non peggiorerà le cose.
Diteglielo voi che lo farò solo per difendermi.
Non capirà, forse, ma almeno non penserà di avermi fatto qualcosa di male.
Anche se una cosa l’ha fatta, di male: esistere qui e ora.
Non so se ci riuscirò ma potrebbe presto diventare l’ultimo tentativo da fare.
(Img 123 rf)

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Nessun mare

Triste è la vita di chi, da sempre, vede in ogni inizio il seme della sua fine. 
Di chi capisce (in maniera quasi infallibile) chi ha di fronte molto presto.
E di chi quando vive un momento sa gà che lo rimpiangerà in futuro, anche se, in quel momento, pare incredibile il solo pensarlo.
Io sono così.
Quando poi la sera senti che la giornata è trascorsa senza lasciarti un po’ di soddisfazione, ma solo scorie inquinanti, incertezza e insoddisfazione profonda (sedimentata, non di recente formazione), devi farti due domande e possibilmente trovare le risposte giuste.
In difetto, navighi a vista su un relitto alla deriva, fidando nei tuoi sensi e nel mare calmo.
Ma nessun mare è calmo per sempre.
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mercoledì 24 maggio 2023

Siamo parvenze di uomini


 
 
 
Abbiamo perso la capacità di leggere nell'altro.
L'uomo primitivo o antico ci riusciva meglio: allora non vi erano tutte le sovrastrutture che oggi sostanziano la nostra ricca ma a ben vedere miserrima esistenza, e tutte le distrazioni e futilità che occupano buona parte delle nostre giornate avidamente consumando energie altrimenti impiegabili.
Al giorno d'oggi molte funzioni che un tempo dovevamo espletare noi vengono svolte per noi dalla tecnologia o favorite dal livello avanzato di organizzazione della società; inoltre a quei tempi era davvero una continua lotta per la sopravvivenza, dalla necessità quotidiana di procacciarsi del cibo senza rimanere vittima della preda o di competitori, alla necessità di evitare rischi di ogni genere (bestie per le quali l'uomo era possibile preda, malattie, burroni, fulmini, rivali per le più svariate ragioni, da quelle di predominio territoriale a quelle legate al possesso di una do-nna o di attrezzature e bestiame, ecc.). Ecco che quindi i nostri sensi erano notevolmente acuiti e davvero svolgevano un ruolo fondamentale per la sopravvivenza: un errore avrebbe potuto rivelarsi fatale. La stessa paura, un meccanismo utilissimo per salvare la pelle, oggi è vista solo come sinonimo di codardia e non come apparecchio "salvavita".
Oggi siamo delle parvenze di esseri umani. La forza fisica non è più necessaria per nulla, se non per svolgere lavori faticosi (che dovrebbero essere svolti proficuamente da macchine, se solo il progresso tecnologico fosse stato impiegato per migliorare la vita della popolazione e non, e in maniera spesso scandalosa, il tenore di vita di alcuni suoi membri): non serve per procacciarsi il cibo (è sugli scaffali dei supermercati o imbustato in sporte degradabili come la nostra umanità da solerti commessi, spesso addirittura recapitato -non di rado assieme a inutilità chiamate gadget tecnologici- al nostro domicilio da fattorini che per due lire attraversano il traffico della città con qualunque condizione meteo su trabiccoli insicuri), né per competere con rivali per qualsivoglia conquista (contano di più l'astuzia, i mezzi virtuali, il potere e il denaro); di fatto in palestra ci andiamo solo per salvaguardare la salute, altrimenti minata da un'eccessiva sedentarietà sconosciuta ai nostri antenati o per primeggiare con corpi scolpiti e poi, se del caso, opportunamente abbronzati e tatuati in punti strategici che lasceremo scoperti con studiate scelte di abbigliamento.
Né dobbiamo cacciare animali nella foresta per procurarci di che coprire il nostro corpo proteggendolo dal freddo e dagli agenti atmosferici o far legna per affrontare l'inverno (troviamo quanto serve già pronto nei negozi).
Oggi anche con un corpo poco robusto, poco prestante o addirittura denutrito o flaccido o obeso possiamo vivere egregiamente ed eventualmente proteggerci (anche se non oltre una certa misura) dalle conseguenze negative in termini di salute da una gestione scorretta della nostra attività fisica e della nostra alimentazione.
Oggi la differenza la fa la ricchezza materiale, un tempo la facevano la forza fisica e la capacità di procurarsi riparo e cibo: puoi vivere nel comfort più soddisfacente senza essere in grado di procurati direttamente nulla di quello che possiedi: è sufficiente acquistarlo.
La capacità di leggere nell'altro, dicevamo.
Oggi non riusciamo più a cogliere le sfumature dell'anima di chi ci sta di fronte, anche quando queste più che sfumature sono tratti marcati e difficilmente ignorabili, persi come siamo in pensieri che gravano come macigni sulla nostra misera vita sfiancata da disturbi evitabili (e che quindi ci rendono incapaci di interessarci di chi ci sta di fronte, incapaci o non interessati a farlo) o persi in pensieri e attività superflue e inutili che però attraggono tutta la nostra attenzione nei confronti del mondo esterno. Gli altri sono percepiti (o per estrema necessità -e si sa, l'estremo bisogno rende l'uomo insensibile ed ancora più egoista, quando non pericoloso- o per estrema superficialità) come un mezzo per ottenere qualcosa che ci serve per vivere o per soddisfare i nostri bisogni indotti e futili, o per evitare noie e pericoli, non come essere umano a sé stante e degno di attenzione e rispetto.
Voi direte: ma anche in epoche lontane la vita era gravata da macigni pesantissimi, per esempio quello di doversi davvero guadagnare la vita giorno dopo giorno, salvandosi nel contempo da tutta una serie di minacce letali, e anche quello di doversi garantire la protezione di qualcuno per cautelarsi dai soprusi dalle possibili azioni malevole di molti. Vero, ma allora l'uomo aveva la possibilità di affrontare questi macigni e di risolvere i problemi della sua esistenza, oggi è ingabbiato, molto spesso, in un sistema, che lo emargina e lo rende di fatto non solo invisibile ma anche incapace di emergere, di riscattarsi, di "farcela", perlomeno a vivere con dignità. Un tempo era possibile raggiungere uno stato di pienezza interiore e di comunione con gli altri e con l'ambiente, pur all'interno della cornice di una vita non del tutto libera e non assistita da quei diritti che oggi definiamo naturali; oggi sempre meno.
Non riusciamo più a capire se abbiamo di fronte un uomo disperato o sereno. Chiediamo "come va" all'amico, al conoscente che incrociamo (spesso nostro malgrado) per strada, e sotto sotto speriamo che risponda che "va tutto bene", o che "si va avanti anche perché indietro non si può", perché in caso contrario saremo costretti, in una certa misura, a chiedere le ragioni di una risposta così negativa e quel che è peggio a restare ad ascoltarla, fingendo partecipazione emotiva. Non solo non ci interessa sapere o intuire cosa pensa e cosa prova l'altro (perché siamo schiavi impegnati a salvarci la pelle o perché siamo esseri superficiali e viziati che non devono guadagnarsi la vita spaccandosi la schiena), ma spesso nemmeno ci interessa sapere se l'altro è malato o ha problemi gravi: esistiamo solo noi, gli altri sono puri mezzi, al pari di un'auto o di un cestino per la spazzatura.
Ma anche supponendo che qualcuno di noi, avendo serbato una residua dose di umanità, si interessi davvero a quello che accade intorno a sé e non solo in funzione di un possibile vantaggio o eliminazione di uno svantaggio, la capacità di capirsi è nel corso dei secoli scemata sempre più.
Ci sono persone disperate, in giro. Ci parli e non traspare nulla. La conversazione segue i canoni standard di un normale scambio di convenevoli tipico di quest'epoca. La persona ti sembra magari un po' triste ma potrebbe essere pure di carattere riservato, oppure angosciata da qualche incombenza pratica di poco conto o con una particolare fretta dettata dal frenetico ritmo della vita moderna. E invece è disperata, totalmente. Si aggira fra di noi e sembra come noi, ma è un morto che cammina. Potrebbe essere capace di azioni estreme, compresa quella di abbandonarsi. In ogni caso dà risposte formalmente corrette ma vuote alle tue domande di plastica: solo che le tue sono così perché sei insensibile e emotivamente inadeguato, le sue sono vuote perché la disperazione lo ha consumato e lo sta portando alla rovina: vorrebbe urlare, spaccare qualcosa o qualcuno, ma non lo fa, per abitudine, per una residua forma di rispetto della proprietà privata e dell’incolumità altrui, o forse non lo fa ancora. Non è più padrone della sua vita, ne è schiavo. Lentamente, si riduce fino a sparire il suo interesse per qualsiasi cosa, tutto gli appare inutile, grigio, vuoto di senso. Non fa più quasi nulla, non vede nessuno, non si interessa a niente, vegeta. L’esistenza diventa una pena continua e intollerabile, lo scorrere delle ore è veloce e straniante ma anche così lento da risultare una tortura insopportabile. I ricordi sono lame conficcate nel cuore, il futuro non esiste, il presente è una pesante croce da portare. Questo non accade a chi ha un problema di salute (mentale), non stiamo parlando di questo; accade a chi viene triturato da un sistema disumano che premia pochi senza merito per massa -crare i molti, che ti spossessa della tua vita, che ti rende impossibile soddisfare anche le più elementari esigenze, figurarsi qualche legittimo e moderato desiderio. E’ un meccanismo automatico e autorigenerante che nella sua avanzata fa cadere molti, che vengono semplicemente prima ignorati poi scartati dalla società, da quelli che godono e si sollazzano succhiando il sangue dalle vene della massa, a quelli che schiavi inconsapevoli o consapevoli strisciano ancora la catena per terra ma riescono tutto sommato a proseguire, fino a quelli come te che ormai non pensi altro che a te stesso, alla tua vita, ai tuoi problemi spesso di poco conto.
E così, persi e abbandonati, costretti a interagire con automi di carne e ossa che invece paiono ancora trarre profitto dal meccanismo disumano di cui sono rotelle più o meno grandi e importanti o che, sapendo di essere infimi ingranaggi, non possono comunque distogliere lo sguardo dalla strada, alla pari di animali da soma coi paraocchi, queste persone svuotate vagano per le strade, sono fra di noi, in mezzo a noi. Spesso sono persone che vediamo ogni giorno, o addirittura frequentiamo di quando in quando; un conoscente, un vicino, un parente. Non lo sospetteremmo mai e quando poi accade il fatto brutto o irreparabile siamo sinceramente stupiti (ma la sincerità non allieva la nostra inemendabile colpa).
Siamo essere poveri e meschini, animali da fatica e trattiamo gli altri come se fossero invisibili, o semplice strumenti per il nostro benessere. Quello che conta è il qui e l’ora; l’io. Il resto, se non utile, non conta.
E quando un giorno dovessimo fare noi quella fine, forse capiremmo.
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(img: from borgenproject)
 
 
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Le ragioni di una fine



 

Non finirò mai di leggere e scrivere, mi troveranno senza vita con un libro o una penna in mano o nelle immediate vicinanze. Ma prima ancora smetterò di pubblicare, per la gioia di chi usa Facebook e altri social o blog e non ne sa abbastanza per ordinare ai gestori di piattaforme come questa di non privilegiare i miei post e per la ritrovata serenità di chi si nutre di bufale, pregiudizie e superstizioni; perché l'interesse che mi spinge a mettere in pubblico alcuni dei miei pensieri è legato a quello di sapere quali sono i pensieri degli altri e col tempo sta affievolendosi un po' come tutte le spinte vitali e tutti quegli impulsi che non siano con costanza e pervicace e ottuso ottimismo nutriti da precisi atti e volontarie scelte.
E' sempre arduo trovare le ragioni del percorso della vita di un uomo, specialmente quando ci si trova di fronte alla sua improvvisa o traumatica fine; si cerca sempre, anche inconsciamente, di privilegiare le motivazioni più banali, più scontate o evidenti, che però quasi mai sono quelle giuste o esauriscono tutto il ventaglio delle infinite lacerazoni e delle molteplici rotture che hanno minato il multicolore e multiforme vaso dell'esistenza, sino a renderlo oltremodo fragile al di là di un'apparenza probabilmente ancora solida e conservatasi tale sino all'ultimo istante prima della riduzione in frantumi. E si dà sempre più peso agli accadimenti recenti o a quelli che conosciamo, senza tener conto del fatto che molte cose non conosciamo o non abbiamo voluto conoscere, e che difficilmente un percorso si interrompe prima della sua "naturale" consumazione per cause che non affondino le loro radici, sottili ma profondissime, in episodi remoti e magari secondari di quella via crucis laica e personalissima che è il tratto compiuto con affanno e acuti dolori o vane glorie da ciascuno di noi in questa dimensione.
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(img from initalia virgilio it)

 

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martedì 23 maggio 2023

Una inevitabile presa d’atto




Dopo i quarant’anni, e ancor meglio dopo i cinquanta, quando già vedi la fine  del percorso e senti il fiato della morte sul collo (io l’ho sempre sentito, almeno da quando di anni ne contavo una dozzina; parlo per gli altri), ho cominciato ad avere, pian piano, alcune risposte definitive su alcuni temi rilevanti dell’esistenza umana; e devo dire che non poche volte queste risposte hanno confermato i dubbi che avevo da giovinetto. Magra soddisfazione, dato che si tratta in genere di conclusioni negative.

Il matrimonio, tardivo, e sbagliato (ma non fraintendete, il matrimonio è sempre un errore, perché è frutto di superbia: voler dare una forma e una durata a una sostanza che non ne ha e non può averne), ha aperto una nuova fase della mia esistenza, senza che si chiudesse del tutto la precedente (si chiuderà con la morte della madre, avendo il padre già per tempo provveduto in solitaria) e in un certo senso ha completato il meschino cerchio delle esperienze di base che un essere umano standard può avere: hanno così cominciato a piovere alcune sentenze che sono macigni e di cui io saprò far tesoro, anche se non mi servirà a niente (ma è attitudine).

In conseguenza di una di queste sentenze, decisi due o tre anni fa di non imbastire più nuovi rapporti umani “preferiti”, ma solo roba da mettere in rubrica in ordine alfabetico: quindi nessuna nuova amicizia, nessun nuovo amore, al massimo solo vaghe conoscenze, cordiali ostilità, pure relazioni sessuali se del caso (il sesso, del resto, è tante cose, e anche bisogno fisiologico). Più che una mia decisione, fu l’inevitabile e non più rinviabile presa d’atto di una verità: nei campi gloriosi dell’amicizia e dell’amore ho già dato e ricevuto (si fa per dire), il discorso è esaurito; ho visto dove si va a finire, averlo solo saputo prima... L’amore è come la religione, un’illusione che aiuta molti ad alzarsi dal letto la mattina, ma costa di più; e l’amicizia è ancora più rara dell’amore, che già è merce introvabile (sono a un passo dal postularne la non esistenza, al pari della felicità, che già piazzai con soddisfazione tra le cose non esistenti decine di anni fa). Questo non mi impedisce di avere ossessioni e manie, financo di vagheggiare avventure erotiche impossibili o amori fiabeschi, ma la differenza è che adesso so cosa sono e le cavalco per quello che sono, consapevolmente: in qualche modo devo pur ammazzarlo il tempo che resta prima che colei che tutto decide ammazzi me.

Alcuni la chiamano saggezza, in realtà è solo la capacità di saper decifrare alcune verità che cinque decenni ti hanno confezionato a dovere: prenderne amaramente atto è un merito, certo, ma non così grande come potrebbe apparire se continuiamo a definirlo in maniera roboante saggezza. 
D’ora in poi sarà questo l’andazzo. Io, a differenza di altri, l’ho capito e lo dico, non faccio finta di nulla inseguendo le liceali e frequentando palestre, centri salute e studi di sbiancamento anale: mi arrendo alla vita e vegeto, adeguandomi di fatto alla sua inutilità e superficialità, spalmando il mio corrosivo e autocorrosivo cinismo su tutto e su tutti: se l’allievo non supererà il maestro sarà solo per una questione di tempo, considerato il fiato sul collo di cui all’inizio. 

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mercoledì 17 maggio 2023

Dopo il raviolo pochi discorsi




L’amicizia è un concetto complicato. Ma avete appena pranzato e non voglio mandarvi di traverso il raviolo (o il tramezzino per i più indaffarati o misci).
Parlerò brevemente di me, un argomento che conosco poco ma meglio di molti altri (γνῶθι σεαυτόν, nosce te ipsum).

Io ho alcuni amici. E qui per “amico” adotto una definizione omnicomprensiva: “chi sarebbe davvero dispiaciuto -anche se magari per un breve lasso di tempo- se tu morissi, chi non esiterebbe a provare ad aiutarti se tu fossi in gravi difficoltà, chi incontrandoti non prova il desiderio di indirizzarti un parabellum fra molari e incisivi”. Ho scelto una definizione lasca altrimenti avrei dovuto dire che non ho amici ed è cosa brutta da dire in società.

Avendo alcuni amici, direte, sono a posto. No. Perché in effetti non ho però mai avuto un rapporto di amicizia come lo intendo io, se non per fuggevoli istanti e trascurabili frangenti. Ci ho provato, anche di recente, ma non ci riesco. Forse è un mio limite. Per me dunque il bilancio della società “amicizia” è in rosso, sia pure con andamenti contrastanti. Ora, avendo deciso (come non ricorderete, dato che mi leggete a scappatempo sempre con una mano sotto il tavolo) di non instaurare da quest’età in poi alcun nuovo rapporto che non sia di conoscenza o puramente erotico, capirete bene che si tratta anche di un bilancio pressoché definitivo, anche se never say never.

Così è. Forse è solo uno dei tanti aspetti del mio essere totalmente inadeguato alla vita degli uomini su questo pianeta. O forse è solo che ho mangiato di fretta e poco e male.

(Img: biaglut punto it)

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lunedì 15 maggio 2023

Fine




// Una figura alta e nera era sulla porta della mia camera da letto, stanotte verso le 4.
Con un cappello piuttosto largo. Il viso non riuscivo a vederlo.
Era dalla parte opposta rispetto a quella dove dormo io.
Mi ha portato con sé, anche se il mio corpo è rimasto immobile dov’era, a letto (da poco meno di un’ora). Non c’è stato bisogno di parlare, né ho potuto scegliere, né mi sono opposto, non capivo.
Al risveglio, quando la luce filtrava dalle fessure delle imposte, io vedevo tutto, come qualsiasi altra mattina, ma a differenza delle mattina precedenti non ero più lì e non ci sarei stato mai più.  
Era come se fossi stato lì. Naturalmente, senza poter fare o dire nulla per cambiare le cose o dare aiuto. E non è stato per niente piacevole.
Se la morte fosse questa, sarebbe una maledizione eterna, perfino peggiore della vita.
Spero che sia invece la fine di tutto questo niente che è stato, sì, ma per un attimo, e forse anche no. //
(Img: realmisterx altervista org) 

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Un consiglio per quando siete dominati da un’ossessione erotico-sentimentale (o solo erotica)




A volte ti piace* (chiarirò dopo il significato di piacere) una persona (del tuo stesso sesso o del sesso opposto non cambia nulla, ma se è del sesso che preferisci è pure peggio) e con lei, se fosse per te, chiacchiereresti, ogni volta che la incontri, per un tempo stimabile intorno alle due esistenze (prorogabili).

Ma devi considerare che magari lei (nel senso di “questa persona”, o proprio di femmina) ha piacere di chiacchierare con te, certo, ma, o per sue preferenze, o per la sua situazione, amerebbe farlo per massimo 3-5 minuti ogni volta, e comunque molto meno spesso di ogni giorno.

Il gap tra 2 esistenze (prorogabili) e 3-5 minuti mi pare fortino, non so voi cosa ne pensiate.

In questo caso gli studiosi (sempre poco concreti) consigliano di fare una media aritmetica fra le due preferenze, ma capite bene che la media fra 3 giorni e 2 esistenze (supponendo l’età media generale italiana di 84 anni, dati NiceRx 2022) dà comunque una roba come 42 anni** e voi vi rendete ben conto che, se per voi stare a chiacchierare 42 anni di fila con la persona che vi blocca il cuore ogni qualvolta la incrociate può essere accettabile quando non desiderabile, per la persona in questione potrebbe risultare un filo disturbante.

E allora come se ne esce? Non se ne esce. 

Però, siccome voi siete persone ossessionate da cotanta dea ma siete anche persone perbene, vi impegnerete nel limitare il vostro desiderio verso i 3-5 minuti, cercando di goderveli appieno, oltre che nel non lasciar trasparire troppo quanto ella vi piace, una roba che non si può capire. Del resto la vita ha deciso altrimenti, non l’avrete mai (anche perché forse lei nemmeno vi vorrebbe) e non ha senso importunarla, tanto lei mi sa che lo ha capito che voi a un solo schiocco di dita sareste suoi schiavi eterni e fedeli. Occorre rassegnarsi nel dolore. Ché del resto la vita è solo dolore; più precisamente dolore, fascisti, leghisti, renziani e rete4, è notorio. Se non ce la fate, optate per soluzioni estreme, soffrire pene indicibili o morire per un’ossessione ardente è nobile, in questo sono wertheriano puro.


Note

* Per piacere intendo quando una femmina (giratela al maschio se è un maschio in questa fase che vi fa soffrire) è in grado, con la sola imposizione su di voi del suo suo fiero sguardo di brace, di interrompere per più di un fuggevole istante la regolare e (per vostra somma fortuna) monotona attività del cuore, appannandovi nel contempo qualsiasi residua facoltà cognitiva e indirizzando tutte quelle percettive verso quell’inspiegabile matassa adorabile e divina di fascino e stregoneria.

** 
365x84 = 30660
30660+3 = 30663
30663:2 = 15331,5
15331,5: 365 = 42,00
(Gli anni bisestili non li ho filati manco di pezza, mi scuso per questo, ma essendo ossessionato si può perdonare una piccola sbavatura)
(Img: L. Marchi, www punto lucianomarchi punto it) 

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giovedì 11 maggio 2023

E’ solo magia


Alla fine, se morirai di morte naturale dopo gli 80 anni, solo tu saprai che se è successo è perché non poche volte sei riuscito, non si sa come, a passare indenne attraverso terribili tempeste o vere e proprie forche caudine.
Ma lo sai solo tu.

L’entusiasmo irrefrenabile è il tratto distintivo della prima fase dell’esistenza. La delusione senza rimedio e sconsolata quello della fase finale (o di quella che per te sarà la fase finale).
Io faccio eccezione. Non ho mai conosciuto un entusiasmo senza controllo. Ma non sono triste di natura, solamente un po’ meno illuso.

Andare avanti, cioè riuscire a proseguire e a resettare ogni sera per ripartire dal pulito il giorno dopo, non è questione di merito. E’ solo magia. E come la magia, può sparire all’improvviso.

La notte ti aspetta al varco già la mattina presto. Si nasconde ma ne avverto la presenza perché ha il respiro pesante. E perché un po’ di notte c’è qua e là in ogni momento del giorno.
Avverto anche un’altra presenza, sempre. Lei mi aspetta da 56 anni + 9 mesi. E’ paziente ma deciderà all’improvviso. Si nasconde bene ma io la sento.

Se uno si sta per ucci -d3r3 e io me ne accorgo, lo raggiungo (sul cornicione, sul parapetto, etc). E son sicuro di riuscire a fargli cambiare idea. Quando voglio so mentire benissimo. 

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Il privilegio della verità

—-La sera le cose le vedi meglio. La notte le vedi per come sono.
Durante il giorno molte cose ti distraggono e, anche se hai una vita piatta e senza speranza, la vita stessa prova a confonderti con le sue stupide lusinghe. Tu stesso fai cose per non pensare e spesso ci riesci. Credetemi, io sono un luminare del ramo. Ma la notte non la freghi. E l’anima è un registratore che soprattutto la notte non dà tregua (cit.). La notte ti presenta il conto. Arriva l’oste, che durante il giorno era impegnato al banco. 
E quando si rompe quel meccanismo automatico che la sera ti fa prender sonno (sia che tu sia stanco o no) la notte ha campo libero e se lo prende tutto: in cambio di sofferenza ti regala il privilegio della verità.
—-Nulla di quel che ho pensato negli ultimi quindici minuti ha un senso che io, con tutta la buona volontà che sono riuscito a trovare, possa definire accettabile. Non è possibile vivere in una dimensione che stride di continuo con quel che tu sei, con la tua natura, la tua visione delle cose. Davvero, accettare tutto questo sta diventando un sacrificio eccessivo, un giochino stucchevole. Le responsabilità ti trattengono ma dove? Qui, dove le possibilità di dar loro un peso è zero. Quindi le hai ma non riesci a sostenerle, semplicemente eviti lo strappo ma il tessuto, di fatto, è romai inservibile. 
—-Intrappolato in questo circolo vizioso non so cosa augurarmi. Forse una fine inconsapevole. Ragionando materialmente, mi ripugna e inorridisce; logicamente non vedo alternative.

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mercoledì 10 maggio 2023

Carne da macello

Pare che il corpo umano non sia fatto per lavorare: si usura subito, specie coi lavori ripetitivi (lo sono quasi tutti, quelli manuali, e quelli che non lo sono compensano con la durezza dello sforzo).
In effetti se ci pensate cosa ha portato un secolo di sviluppo tecnologico straordinario? Che lavoriamo sempre otto ore al giorno se non di più per guadagnare sempre poco, anzi di meno, e solo per sopravvivere. E anzi: spesso nemmeno abbiamo lavoro. A cosa servono i robot se ci spacchiamo sempre la schiena o se, messo un robot, una o due persone stanno a casa senza guadagnare? Quanto ai diritti, certamente ne abbiamo più che a fine ‘700 agli albori della Rivoluzione Industriale, ma pochi comunque.
I lavoratori sono visti e trattati come carne da macello, da tutti, dal legislatore fino al più umano dei datori. Chi lo fa per cattiveria, chi per profitto, chi perché se non mangi sei mangiato: la lotta tra poveri è sempre stata una delle armi predilette della classe di speculatori e capitalisti che ci dirige. 

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martedì 9 maggio 2023

Anatomia di una retrocessione annunciata

Noi non “festeggiamo” la retrocessione come fecero altri un anno fa (devo ancora capire quel corteo). La retrocessione non si festeggia. Ma neppure ci suicidiamo o cadiamo in depressione: in un sampdoriano il sorriso è una condizione preliminare, e del resto la nostra maglia, con quella fascia orizzontale, ricorda proprio un sorriso, mescolato all’orgoglio di una città gloriosa il cui scudo portiamo sul cuore non a caso.

Però è un fatto che ogni domenica noi abbiamo cantato e cantiamo sempre e con grande gioia, anche se abbiamo vinto vincere in casa 1 partita in 12 mesi, e anche se abbiamo subito porcherie da tutti o quasi tutti negli ultimi anni, e anche se da Natale è ovvio che sarebbe stata B, sosteniamo la squadra sempre e comunque e in maniera commovente e quando possibile la seguiamo in buon numero: questo e altri dettagli incredibili (tipo la protesta condivisa coi giocatori del pre-Torino, o la protesta ben organizzata e motivata di Samp-Spezia) permettono di dire che siamo retrocessi a modo nostro, un modo blucerchiato: un modo del tutto particolare, non so se unico, ma di certo molto raro. A me questo basta, francamente. Non ho mai preteso risultati in vita mia, ma qualità morali e impegno; e so riconoscere le condizioni oggettivhe che incidono su una stagione.
La retrocessione è avvenuta per una serie di fattori. Qualsiasi squadra, nelle nostre condizioni iniziali e sottoposta all’azione di quei fattori, sarebbe retrocessa. Quindi siamo dispiaciuti, ma davvero era scritto. Non nel libro del destino, ma come conseguenza dei seguenti fattori:
-limiti tecnici della rosa e dello staff (peraltro causati anche dal punto che segue) e che derivano anche dalla gestione degli anni precedenti (pessima) e che di fatto ci hanno condannato a lottare dall’inizio per la permanenza;
-mancanza di denaro per la gestione ordinaria e per le campagne di rafforzamento organico, chiedere all’ex presidente;
-azioni e omissioni di un ex presidente che ha fatto di tutto, non mi interessa con quale fine, per distruggerci e impedire che fossimo ceduti ad acquirenti seri, con la complicità di soggetti vari, e qui mi fermo...;
-errore (grave e riconosciuto) di chi anni fa ha regalato la società (prezzo 1 euro) a quell’ex presidente;
-inerzia assoluta e colpevole delle istituzioni che sarebbero dovute intervenire avendone il potere e il preciso dovere e che nulla hanno fatto, se non per affossarci;
-sfortuna generica, infortuni;
-persecuzione arbitrale incredibile, specialmente nei primi mesi (quanto bastava a metterci in una condizione da cui era proibitivo risalire): coi 10 punti circa sottratti da decisioni che non si possono definire errori ce la saremmo giocata fino agli ultimi 90’. Non accetto contestazioni su questo, io parlo sulla base di fatti oggettivi reiterati e gravissimi, non sulla base di partigianeria o suggestioni da avvinazzati; probabilmente qualcuno voleva eliminare la grana Ferrero dalla serie A, invece di impedirla o risolverla come da suo preciso dovere, ma le ragioni di questo comportamento schifoso e contrario allo sport e alla legge non mi interessano. Giocar male è un diritto, aver sfortuna un’evenienza, subire torti uno schifo inaccettabile.
Detto con sincerità, la retrocessione, dati questi fattori, era certa da Natale, salvo miracoli in campo societario (sblocco delle trattative) o di altro tipo. Ed è davvero l’ultimo dei nostri problemi, adesso. Il principale è evitare il fallimento a cui ci sta portando l’ex presidente (scelto da sapete chi). Se ci riusciremo, sarà B e se l’acquirente sarà di nuovo una persona seria (come abbiamo sempre avuto sulla sedia di presidente, tranne una volta...) torneremo volando in A. Se non ci riusciremo, sarà D, perdita del titolo sportivo etc. E dovremo ripartire da un po’ più in basso.
Io sono pronto alla B e alla D. Alla prima di campionato, sarò là. Con tutta probabilità se sarà B, con certezza assoluta se sarà D.
Siamo in pista dal 1946 (prima eravamo Sampierdarenese e Andrea Doria). Siamo nati in una città in cui esisteva un’altra squadra piuttosto nota, che aveva collezionato diversi scudetti (anche se non pochi vinti in due giorni) e che regnava incontrastata pur non facendo nulla di che da decenni. E dal 1946 non abbiamo mai avuto rivali in città e in regione. Inoltre abbiamo giocato moltissimi campionati di A, qualcuno di B, nessuno di serie inferiori. Abbiamo un nome in Europa e in Italia. E abbiamo un palmares luccicante, che solo nel 1980 avremmo giudicato incredibile poter realizzare, che abbiamo ottenuto con le sole nostre forze (nessun potere mediatico o politico) e che abbiamo messo insieme, senza mai abdicare alla nostra correttezza, sportività simpatia e stile, in un decennio abbondante di successi italiani ed europei, giocando un numero di finali e semifinali notevolissimo e portando a casa sette trofei principali. E poi abbiamo la maglia più bella del mondo (per evidenza e come risultato di innumerevoli sondaggi tra i tifosi calcistici di tutto il pianeta) e una tifoseria unica. E, infine, abbiamo ricevuto gli insegnamenti di vita e di sport di un uomo eccezionale, un Presidente che non avremo mai più e che nessuno ha mai avuto e mai avrà. Siamo e saremo. La Sampdoria siamo noi, è tutte queste cose qua, non un ex presidente che ci sta uccidendo e ci tiene in ostaggio da anni, non una retrocessione.
A posto così. Ora stiamo alla finestra. Due mesi e certe facce di tolla spariranno per sempre, senza beccare un quattrino. Poi si ricomincerà. Non importa da dove, ma liberi.
Liberi da chi agisce per il male, liberi da chi roso dall’invidia e da un complesso di inferiorità cronico e devastante gode solo quando a noi qualcosa va male.
Aspettateci, perché torneremo presto. E saremo quelli di sempre.
La nostra storia non si cancella oggi, non si cancellerà mai. E ancora dobbiamo scriverne.
— 

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domenica 7 maggio 2023

Discorso ragionato sulla serenità, con amari riflessi autobiografici (che ho...

DISCORSO RAGIONATO SULLA SERENITA’, CON AMARI RIFLESSI AUTOBIOGRAFICI (che ho nascoto qua e là per costringervi a leggere tutto)
La salute (fisica e psichica) la do per scontata.
Lo so, do per scontato un bene che non lo è e che è essenziale (il più importante) e che non di rado manca.
Ma la do per scontata ai fini del ragionamento che vado a fare, altrimenti sarebbe inutile farlo e voi perdereste l’occasione per essere infastiditi da un post.
Se nel discorso ci infiliamo la salute, addio. C’è sempre qualcuno che sta peggio di te, al mondo. Anche se, poniamo, tu avessi problemi di salute gravi, qualcuno li avrà gravissimi, quindi dovresti sempre smettere di lamentarti per qualsiasi cosa. Ti manca un braccio? Pensa a chi non li ha entrambi, e smettila di lamentarti se non riesci a prender sonno per l’angoscia o se non arrivi al venti del mese, “i veri problemi sono altri”. E via dicendo. Ecco perché, come detto, non ce la infilo.
Un’altra considerazione la meritano i quattrini. Non danno la felicità, dice il saggio. E’ vero. Anche il melo non dà lingotti d’oro ma mele, ma chi si aspetta lingotti da un melo? E poi la felicità manco esiste. Assodato che, essendo pieno di denaro, non cercherei di acquistare la felicità e non mi stupirei di non essere ancora felice, i quattrini però ti risolvono TUTTI i problemi di natura materiale, che rappresentano una fetta considerevole dei problemi di un uomo, anche se non tutta la torta. Ti aiutano in tutto, perfino nel combattere la morte, entro certi limiti, è evidente (la morte ha sempre un jolly in mano). Non danno la serenità, ma ti aiutano a simularla bene. Eliminiamo dal discorso anche i quattrini, a patto però che nessuno osi più dire la banalità sopra riportata.
Veniamo al nocciolo. Cosa determina (tolta la salute -che è la base di ogni cosa- e tolto il fattore denaro, assai importante) la serenità di un essere umano? Una vittoria fuori casa? La vicina che si fa la doccia con la finestra socchiusa? Un riconoscimento sul lavoro o un dieci a scuola? No. Queste cose danno un istante di godimento. Buttalo via, potrebbe dire qualcuno, e avrebbe ragione, ma qui parliamo di serenità, uno stato diverso: riguarda tutta la sfera vitale e dura poco o un po’ di più, ma non un istante (o la durata di una doccia).
Ebbene, secondo me la serenità, quello stato che inspiegabilmente elimina le nubi dal cielo dei tuoi pensieri, che ti fa assaporare un minimo il presente, che ti fa far pace col passato e non permette al futuro di intimorirti troppo, dipende da questo: se stai vivendo la vita nel modo che vorresti, e in quale grado, o no.
Certo, lo so: se hai problemi di salute, tu o in famiglia, la serenità è esclusa. E anche se non hai quattrini. Ma mi sforzo di trovare la definizione di serenità al di là della salute (essenziale) e del denaro (importante).
Io, per esempio (se non parli mai di te è inutile che scrivi su un social), non sono soddisfatto dell’andamento della mia esistenza terrena. Certo, ho una salute più che accettabile (ma in un secondo cambia tutto e il tempo comunque lavora contro di noi) e non sono ancora finito in guai seri, questi sono due fattori che riconosco volentieri. Ma questa insoddisfazione è decisiva, stante la mia definizione. 

Arrivato a questo punto, molte cose sono immodificabili ormai: non è pessimismo, è realismo. Alcune forse sono ancora correggibili, ma occorre individuarle, volerle e saperle correggere e comunque fra queste ne vedo poche di decisive, poche o nessuna.
Alla fine io, fino ad oggi (del doman non v’è certezza), non ho mai recato danno a nessuna persona o animale, né volendo né involontariamente: può essere poca cosa, per molti, ma è una base importante. E non l’ho fatto certamente per buona sorte (se investi la vecchina sulle strisce per distrazione, c’è poco da fare) ma soprattutto per decisione; o se volete chiamatela predisposizione. Non so dire se è tutto merito, comunque è così. Non penso di essere il migliore del mondo, ma so di non essere fra i peggiori. 
Soprattutto, penso che avrei meritato di più, ecco la chiave.

Lo so, pare una lamentela sterile e presuntuosa... Eccone un altro che non è mai contento di quello che ha e che non sa apprezzare il fatto di avere cibo e salute (ma non s’era detto di eliminare dal discorso lo stato fisico e psichico?).
Cerchiamo di intenderci. So bene che uno potrebbe dire: per avere di più avrsti dovuto darti da fare di più. E, in buona parte, è vero. Ma qui c’entra un altro discorso che adesso non affronterò: la mia fondamentale inadeguatezza alla vita, perlomeno a come la vita è intesa e si sviluppa nella comunità di esseri umani che popola questa sfera oblunga che gira nello spazio.
In ogni caso, penso che avrei meritato (o, vedendola in maniera ottimista, meriterei) di più per quello che ho fatto. Forse insufficiente ad avere molto di più, ma tale da farmi dire che qualcosa di più sarebbe stato giusto averlo. 

La sensazione che la tua vita non sta procedendo come avresti voluto, o come pensavi da piccolo e poi da giovane, è disturbante, non sapete quanto, o forse lo sapete, chissà. E si accompagna alla sensazione che ormai se i giochi non sono fatti poche sono le correzioni di rotta possibili.

So di aver fatto alcune scelte sbagliate.
Ma so anche che quasi tutte le ho fatte così perché io sono così. Quindi non penso che avrei potuto far diversamente. E’ una consolazione? No. Ma devo dirlo, se penso che sia vero.
E comunque non chiedo quel che avrei potuto avere facendo cose diverse, ma quello che dovrei avere, secondo me, avendo fatto quello che ho fatto.

Questa sensazione è quella che poi mi inquina tutto.
Vedere che altri (pochi, eh, ma ci sono) meritavano meno di me e hanno avuto di più scoccia, è vero. Ma non mi aiuterebbe stroncarli o riportarli al livello che secondo me competerebbe loro.

Mi chiedo perché non ho quel che vorrei e che davvero, se lo esplicitassi, vi apparirebbe poca cosa. Ma per me poca cosa non sarebbe.
Alla fine io non ho esigenze impossibili o desideri infiniti, proprio il contrario.

E’ questo che rende ancora più insopportabile il tutto.

Per quanto tempo ancora sarà sopportabile l’insopportabile? 

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Se potessimo tornare indietro


Se potessimo tornare indietro e rifare il percorso della nostra vita, eh? 
Ci pensiamo spesso: quante cose faremmo in maniera diversa, quanti sì diremmo al posto dei no e viceversa, quante occasioni perse non ci lasceremmo sfuggire, quante scelte sbagliate non ripeteremmo, come giudicheremmo diversamente certe persone...
Voi ci credete? Io no.
In realtà se tornassimo indietro con la memoria del primo viaggio qualcosa potremmo fare, di meglio: alcuni errori li eviteremmo, certo. Ma non tutti. E già questo è un dato sorprendente. E poi, chissà, potremmo anche far di peggio, in alcuni casi.
Ma se tornassimo indietro senza ricordarci del primo passaggio, credetemi: rifaremmo quasi tutte le stesse cose. Perché alla fine le nostre scelte sono determinate in buona parte da come siamo e dall’ambiente in cui operiamo.
Non parlo del caso (il mattone che ti apre la testa, per esempio, o la malattia incurabile), parlo delle nostre scelte, nel bene e nel male. Allora non esiste il libero arbitrio? Grosso modo, no. Il fatto è che la vita è una e quando fai una cosa per la prima volta ti può riuscir bene solo se hai una grande fortuna. Qui però non esistono prove o repliche, mi dispiace. Forse, alla terza vita riusciremmo a far davvero meglio. Ma è teoria, qui dopo il primo giro, che spesso nemmeno si completa, si diventa cibo per vermi.


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Belìn Belàn Belandi

Un mondo dietro a queste tre parole, di cui la prima essenziale per un genovese e per molti liguri o basso piemontesi, per non parlare della Lunigiana bassa, della Val di Magra e della costa francese da Mentone a Nizza, di Carloforte in Sardegna, e, oggi un po’ meno, della Corsica.

C’è chi dice che belàn o belàndi non sono prettamente genovesi e comunque sono una variazione edulcorata di belin, un po’ come cacchio o caxxarola per caxxo. Ci sta, ma non sono di Genova Genova! Anche belì-scimu (bellissimo) è ben poco genovese, anche se si sente ma soprattutto nel ponente.

Di certo belìn oggi ha perso molto del suo originale senso offensivo o maleducato e pur restando una parola da non usare a pranzo con la Regina (io son fermo alla Regina, non mi parlate di quel tizio che ieri ha preso il suo posto) è sdoganato ed è timbro di fabbrica del genovese. E’ quasi simpatico.
Gli si può dare discrezionalmente significato offensivo, ma in genere ormai significa “Accidenti, caspita, altroché...”.
Eppoi è sia un’intercalare ormai diffuso, sia una parola versatile al massimo, si può usare in mille modi.
Facciamo qualche esempio.

Da Wikipedia leggiamo alcuni esempi interessanti che ci fanno capire come anche la posizione del belìn nella frase sia essenziale. 
Se usato all'inizio della frase può servire come incipit per una domanda ("Belìn, pioverà mica, stamattina?", alla stregua di "Che ne dici, pioverà questa mattina?"), o sottolineare una sensazione di sorpresa ("Belìn, e chi se l'aspettava?" alla stregua di "Ma dai, e chi se l'aspettava?"), in quest'ultimo caso la parola si può anche porre in mezzo alla frase ("sono uscito da casa e, belin, ha iniziato a diluviare", in modo simile a "sono uscito di casa e, perbacco, ha iniziato a diluviare").
Usato nel mezzo di una perifrasi, serve come pausa rafforzativa, alla stregua di "caspita" ("Sono andato a far la spesa stamattina e, belìn, mi sono dimenticato il portafogli a casa!").
Se usato alla fine della frase può indicare una forma di orgoglio o lagnanza verso l'azione descritta, a seconda del tono ("Sono andato a far la spesa anche stamattina, belìn!": in caso di lagnanza come sinonimo di "uffa"; in caso di tono orgoglioso come sinonimo di "hai visto?")
(IMPORTANTE) La parola 'belìn' ha una grande varietà di significati a seconda della sua intonazione. Rispondere a una domanda - per esempio "hai mangiato?" - con belìn può indicare: che si ha mangiato troppo ("altroché!"); che si ha mangiato bene ("alla grande!"); in tono sarcastico per indicare che al contrario si ha mangiato poco ("sì, proprio..."). La comunicazione non verbale, gestualità, tono e mimica facciale sono quindi determinanti nel cogliere le diverse accezioni.
Il termine può assumere tono e significato affermativo, stupito, rafforzativo (i più comuni), risentito, iroso, sconsolato, ironico, beffardo e altro ancora.

Lasciando Wikipedia, diciamo che belìn è davvero una parola fantastica.

Guarda come gioca quello, è un giocatore del belino! (Giudizio negativo)
Belìn, che giocatore!   (Giudizio positivo)

Belinata vuol dire caxxata, cosa di poca importanza, cavolata, ma anche bugia, sciocchezza. “Non dire belinate!” (Stupidate, bugie) “Ti ho preso una belinata come regalo” (una sciocchezzuola, una cosa da poco)
Abelinou vuol dire scemo, sciocco
Belinun: anche peggio, tonto, idiota

Se ti imbelini vuol dire che inciampi, se chiedi a tua moglie dove ha imbelinato i tuoi occhiali è perché non li trovi... Ma vuol anche dire cacciare, mettere: “Imbelina un po’ questa pentola nell’armadio...”
Ma imbelinarsi vuol dire non solo inciampare, ma anche infilarsi in un guaio, in un discorso pericoloso, etc
Cosa m’imbelini?  Cosa stai imbelinando? significa: cosa mi combini?

Battersene il belino vuol dire fregarsene, “me ne imbelino” secondo alcuni lo stesso (a Roma dicono “sticaxxi” -non mecojoni, occhio) anche se per molti invece “Meninbelino” vuol dire Certo! Ovvio! Lo credo! Perbacco! Eccome!, essendo già l’espressione me ne batto il belino a voler dire me ne frego altamente. 

Portar via il belino vuol dire andarsene, avere il belino girato o inverso vuol dire essere di pessimo umore, essersi alzato male...
Mi gira il belino si dice quando uno è arrabbiato, o non mi far girare il belino (avvertimento).

Poi ho trovato su un forum altre espressioncine che non vivendo nella mia città uso poco: 
Ho nel belino che... Cioè “Ho intu belìn...” (ho l’impressione che, mi sento che, ho paura che...), sentita poche volte ma bellissima.

Conosco bene invece
Malinbelinato: malvestito, mal conciato, malmesso.

Continuiamo:
Non menarmi il belino è non rompermi le balle
Farsi mangiare il belino dalle mosche vorrebbe dire perdere un sacco di tempo, temporeggiare, aspettare (mi fido, non penso di averla mai sentita questa)
Desbelinarsi vuol dire darsi una svegliata, darsi una mossa, cavarsela
Desbelinato è una persona sveglia. “Desbelinite 'n po, figieu!» 

Belàn, abbiamo detto, è versione edulcorata, come detto, e di fuori Genova e in ogni caso è molto meno offensiva, è più un commento positivo! ; Belandi è non genovese, a occhio, forse spezzina; Belinda non so cosa sia, dicono di Imperia, ma insomma non mi piace.

Se belinun o abelinou vogliono dire tonto, scemo, ecc, belina invece presuppone che la persona abbia fatto qualche porcata sapendo di farlo, quindi è tecnicamente uno “stronxo”, cioè una belina! Può quindi essere molto offensivo, specie se “belinn-a!” Ma a volte si usa belina anche in senso bonario... esempio, quando hai fatto una belinata, puoi pensare: Che belina sono stato!

Dite che fare questo post è stata un’idea del belino? Chissà.. I
In ogni caso se non vi piace basta passare oltre, senza scaramellarmi il belino...

Belìn sappiamo cosa vuol dire, ma non si dice mai “il belìn”!
Se vogliamo indicare proprio l’organo, diremo “il belino” (mi gira il belino, non menarmi il belino, non capisci un belino).

“Do belìn”, si dice di  persona/oggetto che non è affidabile.
«A l'è unna scâ do belin» («è una scala inaffidabile»)

Ho poi trovato questa interessante osservazione sulla lunghezza delle vocali:
Beeelìn! = accidenti / che roba! (spesso con accezione positiva, anche pronunciato “booolìn!”)
Dai, belìiin! = dai, su! (spesso con frustrazione)
Eh, belìiin! = eh, addirittura! (nel senso di assurdità/irrealtà)
Oh belìiin! = oh cazzo (spesso pronunciato “obbelìn“)

Come vedete, è un mondo vastissimo quello del belìn!

A belìn de can: “fatto male”
Avèi o belin inverso: essere di cattivo umore, lo abbiamo già detto, qui però in genovese.
Fâ rïe o belin: che vorrebbe essere spiritoso senza riuscirci!  Detto di parole stupide.

Altri modo di dire:
affiâse u belin = affilarsi il belino, affilare le armi, le unghie.
avèine u belin pin = essere stufo, aver perso la pazienza.
me gïa u belin = mi girano le scatole (oppure fare qualcosa con estrema controvoglia)
ma cösa l’ha into belin? = ma cosa ha in/per la testa?

—-
Detto del belìn, ci sono poi alcune parole che, pur non parlando il genovese (ma capendolo benino) mi piace usare e adoro:

Tapullo
E’ una riparazione di fortuna di cui andare orgogliosi, spesso fatta con materiale di recupero o improbabile.

Ravatto
Oggetto di scarsa qualità o se riferito a persona “di scarsa qualità estetica”. Io lo uso anche nel senso di oggetto inutile o persona inutile, quelle cose che uno conserva perché non si sa mai ma poi occupano solo posto e non servono a niente! Ciarpame.

Sbulinato
Chi si veste con abiti vecchi, rovinati, chi va in giro con capelli lunghi e incolti, barba non curata, insomma “trasandato”

Sgrêuzzo
Chi agisce senza pensare e ha modi rudi e grezzi, non ha mezze misure, magari fisicamente prestante ma poco fine, per esempio a tavola.

Pittima
Chi si lamenta sempre, magari perché ha sfortuna. E’ quindi difficle da sopportare, alla lunga.

Leggera
Cattivo esempio per i giovani, chi vive un po’ così, come viene viene, alla giornata, cazzeggiando, passando da un bar all’altro, magari con frequentazioni poco raccomandabili e comportamenti al limite.

Miscio
Senza palanche (senza soldi).

Maniman
La traduzione più corretta è “non si sa mai” 
“Maniman c’è la fregatura”

Gondon
Preservativo. Ma anche canaglia, una persona ruffiana, furbastra o, tra amici, furbacchione

Mussa
Oltre a essere la versione femminile del belìn (non come uso ma come organo a cui si riferisce), vuol dire anche balla (contamusse = contaballe).
Pin de musse vuol dire pieno di scuse, pieno di storie, uno che ne ha sempre una e non gli va mai bene niente.

Brigola
Brufolo, foruncolo... L’ho sempre usato.

Magone
Angoscia, peso sullo stomaco, nodo alla gola, forte malinconia

Rumenta
Un classico. Spazzatura, ok. 
Ma anche riferito a persona, spesso scherzoso ma neanche tanto.
In ambito calcistico a Genova è usatissimo.

Paciugo
Pasticcio, casino, fanghiglia, poltiglia

Refrescûmme
Lezzo di stoviglie mal lavate, puzzo del pesce non fresco.

Bratta
Fango, ma anche sporco. E in senso figurato: sono nella bratta, sono nei guai, ho grossi problemi

Bulacco
Secchio

Friscêu
Frittella

Mandillo
Fazzoletto

Remescia’
Mescolare, girare

Spegassin
Imbianchino

Spegetti
Occhiali

Tomata
Pomodoro 

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Patologie


Festeggiano la promozione e pensano a noi, sfottono noi, irridono noi, offendono noi, raccontano balle su di noi al fine di giustificare le loro belinate attuali, augurano il peggio a noi... E offendono i morti o comunque fanno una fatica bestiale a dissociarsi da certi fatti vergognosi. Non pensano letteralmente ad altro, mai. Ci odiano, e la cosa è davvero ridicola ma anche curiosa. Siamo sempre nei loro pensieri, nei loro incubi. Esistono rapportandosi a noi. Ma chi li cerca? Boh.

Non sanno neppure godersi il momento (son così rari, poi), un po’ mi fanno pena, perché stasera avrebbe dovuto essere una sera in cui festeggiare alla grande, mangiare, bere, scherzare, godere, sognare l’anno prossimo una A magari meno faticata del solito tran tran bicolore, e non pensare a noi, e non sbavare come sempre rabbia, e non manifestare il solito astio e la solita invidia da repressi verso gli odiati cugini (che hanno la sola colpa di aver vinto infinitamente di più da quando esistono ehehehe). Si è anche dovuta chiudere SampCity e proteggerla per evitare vandalismi tipo quelli al Molo...

Ragazzi... ci vuole uno bravo, qua. I complessi di inferiorità non curati e ormai incancreniti e le ossessioni sono brutte bestie; se unite a maleducazione, assenza di sportività o peggio, la miscela è pericolosa. Come se io, vinto lo scudetto o la Coppa Coppe, avessi pensato a vandalizzare cose bicolori o a irriderli: manco mi passavano per la testa quando trionfavo in ogni dove, io festeggiavo alla grandissima e basta, chi se ne fotteva del Genoa, della Juve, dell’Inter o del Forlimpopoli di Sotto. Che miseria... Al massimo, ci sarà scappato un genoano cucù davanti alla tv: roba da paese, insomma, non questi deliri urbani da studio medico.

Ripeto: non mi preoccupa il singolo idiotone, di quelli ne abbiamo pure noi, purtroppo. E’ il clima che è diverso. Profondamente diverso. Da noi nella media c’è più goliardia, sfottò, menaggio; di là astio, odio, senso di rivalsa, cattiveria. Questi sono fatti.

Come sempre, invito i miei amici blucerchiati a sopportare con cristiana rassegnazione, non i festeggiamenti (legittimi, eppoi la promozione è meritata), ma questi deliri, queste meschinità, oscenità, vandalismi o semplici espressioni di disagi di varia tipologia e intensità. Reagire sarebbe sciocco davvero e non nelle nostre corde.

Festeggiate senza fracassare il belino, ce la fate? Mi sa di no. 

—-

Il risultato di una partita è un evento accidentale.
Il risultato di una stagione è un evento accidentale.
Questo amore è vita. Questo amore è tutto.
Inspiegabile e inspiegato, totalmente gratuito, sempre più forte, indistruttibile.
Ti spinge solo ad essere una persona migliore, allo stadio e nella vita.
Il mondo è qui, quel che c’è là fuori non conta.
Ignorate i corrotti, i ladri, chi ci ruba le partite e chi ci insozza i defunti, chi ci affossa e chi sta a guardare e ride, chi nemmeno quando festeggia riesce a non pensare a noi che siamo il suo incubo.
Ignorateli. Bastano questi quattro colori. Basta ritrovarsi ogni settimana tutti lì, a Marassi.
Paolo non c’è più, è vero. Dentro di noi però c’è.

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lunedì 1 maggio 2023

L’ altra metà di Genova si sente inferiore dal 1946 (e sportivamente lo è).

Seguo il calcio o, meglio, amo la Samp dall’aprile del 1973 più o meno. Avevo cinque anni e otto mesi e dato l’inizio di tutto in quel mese perché ero disperato non potendo, quel giorno di aprile, andare allo stadio col babbo a vedere la Samp, causa influenza o raffreddore. E’ quindi evidente che ero tifoso da prima di quel giorno... Non sarebbe esagerato dire che sono blucerchiato dall’età di 5 anni. Era il 22 aprile del 1973, quel giorno la Samp ospitava il Cagliari, che vinse con un gol del Riva, che io mi persi.
In tutti questi anni la Samp ha fatto un po’ di B (poca), moltissima A con obiettivo salvezza o poco più, un decennio e più clamoroso, ricco di vittorie, finali e gloria, in Italia e in Europa, e poi di nuovo tanta A a mezza classifica, qualche anno di B e qualche anno di salvezze risicate. E soprattutto ha imposto uno stile unico.
In tutti questi anni (51) io:
-non ho mai perculato un genoano per via di una sua sconfitta o retrocessione o figura di merd@ (e di occasioni ce ne sarebbero state a decine), né in pubblico, né in privato, né a scuola né sul lavoro, né sui media o sui social;
-non sono mai (ripeto: mai) sceso in piazza per festeggiare una sconfitta o una retrocessione del Genoa, lo troverei inconcepibile; so che moltissimi lo fanno, sia doriani che genoani, accetto il menaggio (se misurato -e prendersela coi morti non lo è-) anche se non lo pratico, ma io davvero non riesco, non ho mai avuto come riferimento il Genoa (in questo mi ha aiutato diventare presto un esule) o come obiettivo quello di fare meglio del Genoa, figuriamoci un po’!;
-non ho mai augurato alcunché di negativo o positivo a nessun genoano;
-non di rado ho riconosciuto i meriti rossoblu, quando vi erano.
Questo non toglie che non digerisca per niente il loro modo di fare e il loro costante riferirsi a noi, conseguenza palese e nota di un fastidioso, mostruoso, atavico (e giustificato) complesso di inferiorità: del resto, da quando esistiamo, non vi è mai stato paragone, sia in termini di vittorie nella stracittadina, sia in termini di successi sportivi italiani ed europei, sia in termini di valori e filosofia (grazie in buona parte a Paolo Mantovani, ma non solo): questi sono fatti.
Se ci sono riuscito io, in 51 anni, perché alcuni idioti che conosco di persona o di vista o solo di fama non ci riescono? Forse perché difettano in neuroni.
Adesso il rossoblu difettato (categoria non esaustiva del popolo rossoblu, è ovvio, ma ben rapresentata numericamente) aspetta giugno per vederci retrocedere e magari per risalire in A e pensa che questa occasione possa essere una vendetta o un pareggio dei conti. Ignora che la loro retrocessione è stata in buona parte decisa (sportivamente) da noi (anche se non solo, è ovvio: si retrocede per tanti fattori), altro che Boselli, ehehehe, e che la nostra non è decisa da loro (che in A non sono), ma da ben altri fattori; e dimentica che non vi è nessun pareggio di conti, né vi potrà essere, essendo come detto le nostre storie sportive imparagonabili: la loro, specie dal 1946 (data della nostra nascita) è clamorosamente inferiore. A me spiace molto ricordarlo, lo faccio solo quando cerca di farmi la lezione il peggior allievo della classe. E questo non è perculare, è ricordare a chi molesta che sta facendo una figura meschina. In tutti questi anni abbiamo reso felici molti rossoblu, lo so, perché abbiamo vinto tanto ma anche perso diverse finali (è il destino di chi trionfa spesso, quello di non poter vincere tutto, e noi in quel decennio e più abbiamo giocato davvero tante finali) e vissuto qualche retocessione: dovrebbero ringraziarci. E’ dal 1937 (quindi 86 anni) da che non scendono in piazza per festeggiare una loro vittoria (se escludiamo un paio di trofei minori).
Forse falliremo pure e sarà serie D. Ma vai a spiegare tu al difettato che un conto è andare in serie C o peggio per demeriti sportivi (loro l’hanno fatto, per ben due volte fu C1) o per aver cercato di accomodare le partite (anche questo lo hanno fatto, e fu C1), un altro è andarci perché un pregiudicato da te contestato duramente da anni devasta la tua società nell’inerzia adegli organi di controllo.
Il complesso di inferiorità è una brutta bestia.
Noi, sebbene vi siano diverse squadre in Italia che hanno vito più di noi, non sappiamo però cosa sia, quindi è possibile esserne immuni, ehehehe.
Lo scopo di questo mio discorso? Dare dell’idi0ta a chi lo merita. Resta inteso che per me è id0ta chi si macchia delle stesse colpe anche se veste colori diversi e anche se veste i nostri (anche noi abbiamo qualche deficientello, è ovvio).
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autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it) Per tornare alla home page clicca qui. Se questo blog ti interessa e vuoi essere aggiornato sui suoi contenuti iscriviti al mio feed oppure seguimi via mail. Se vuoi segnalare questo articolo clicca sul titolo del post e vai a fondo post.

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