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lunedì 28 ottobre 2024

Senza capo né coda


La vita della maggior parte delle persone, e oserei dire di ciascuno di noi, è una interminabile e scoraggiante sequenza di progetti pensati e spesso mai iniziati, oppure lasciati a metà, o abortiti subito, oppure abbandonati a poco dalla fine, o portati a termine ma non perfezionati a dovere, o ancora abbandonati una volta finiti, senza continuare a curarli e a farli crescere.

Una disperante sequenza di fallimenti, o di idee abbandonate che magari avrebbero potuto funzionare, o di progetti conclusi che però non hanno portato ai risultati sperati.

Ne abbiamo pensate tante, ci siamo inventati tante cose, abbiamo avuto anche qualche buon colpo d'intuito, ma raramente siamo riusciti davvero a fare qualcosa di risolutivo e di soddisfacente che non generi in noi, adesso, rimpianti, a volte fondati; non parliamo poi delle volte in cui invece tutto era sbagliato fin dall'inizio a partire dalla prima idea, e invece ce ne siamo accorti troppo tardi.

A volte si tratta anche di rimpianti  immotivati, perché in ogni caso non saremmo riusciti a combinare granché, ma come all'epoca non eravamo riusciti a fare le cose nel modo in cui si sarebbero dovute fare e a portarle a termine, così adesso non riusciamo a dare il giusto peso a questi rimpianti, e spesso finiamo per ingigantirli, pensando che con poche varianti, forse, la nostra vita avrebbe preso un corso decisamente diverso, e migliore, quando invece molto spesso non è così, e anche in quest'ultima fase è la mancanza di lucidità e l'illusione che non ci permettono di avere una chiara visione delle cose, neppure su rimpianti di quello che non è stato e che poteva essere, o che poteva essere fatto in modo diverso. 

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venerdì 25 ottobre 2024

Nulla resterà



Non credo che una volta morti finiremo davanti a un creatore pronto a giudicarci. E’ una bella favola ma quando mi inoltro in un bosco non mi aspetto mai di trovare una casa di marzapane. Finiremo nel nulla.
Ed è un peccato, perché io già saprei cosa fare, chi amare, cosa inseguire, forte dell’esperienza di questa velocissima vita per definizione collezione di sprechi ed errori. Non posso basare la mia serenità di oggi su un’invenzione rassicurante, capita solo che a volte ci giochi per distrarmi un po’. 
Resteranno i miei errori, le occasioni perse, le persone mancate, i progetti falliti. Tutto quel mondo incredibile che ho dentro si spegnerà come una candela uccisa da un soffio di vento, e dopo trenta secondi non saprai dire se e quando sia mai stata accesa.


(Img: freepik) 

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domenica 1 settembre 2024

Darsi forza


Sentire vicina una persona è una cosa formidabile.
Basta poco. Quel poco che a volte non c’è, per colpa della vita fra gli uomini, che ci fa credere, sbagliando, che non sia giusto dir sempre quello che si pensa e fare quello che ci si sente di fare, fregandosene di convenienze, opportunità, dubbi.
E per quel poco che non c’è alla fine pare che manchi tutto il resto, come un quadro formidabile chiuso nel magazzino di un museo: è come se non esistesse.
Ma per esporsi occorre fidarsi dell’altro.
E anche avere fiducia e godere della fiducia altrui è una cosa bellissima.
Entrambe le cose sono fragili e rare.
Sono cose che ci fanno sentire vivi e stare bene, che ci danno forza e fiducia. Ma basta poco per rovinarle, anche un dubbio.
Ecco perché la fiducia reciproca deve sempre essere più forte di ogni dubbio, e la convinzione di essere nel giusto più forte dei pregiudizi e delle idee malate di questi esseri che chiamamo simili e che spesso sono molto diversi da noi, e in grado di guastare quel poco di bello che, a guardar bene, si trova.

(Img it freepik com) 

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venerdì 23 agosto 2024

Come fili


Le vite sono come fili. A volte si intrecciano, o si toccano di continuo per lunghissimi tratti, altre si incrociano e via, o si sfiorano solo e poi si perdono per sempre. Per pigrizia. Per aridità.  Perché devi pensare a te e alle tue questioni, ben più importanti, ma più stupide.
E non avrai nemmeno il tempo di rimpiangere le occasioni che non hai colto, le persone che hai mal valutato, quelle che ti sei lasciata scivolare fra le dita, magari solo per pigrizia, o paura, o per convenzioni sociali, o per aridità di cuore, o per distrazione. Quante cose hai perso. Quante cose non conoscerai. Non avrai il tempo di rimpiangerle perché morirai e diventerai nulla, un bel nulla disperso nello spazio. 

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giovedì 22 agosto 2024

Elogio del cane al contrario

Il cane sarà anche il miglior amico dell’uomo, ok (ma il cavallo? E il bue? La mucca? L’asino? Pensateci bene, pensate all’utilità per l’uomo nella storia), ma è il più acuto? Sì? Allora perché tutti i giorni quando arriva lo stesso postino che fa le stesse cose, o il corriere, o lo spazzino, salta, ringhia, si dimena, scanaglia, mostra i denti e la gola fino all’intestino, gratta sui cancelli, corre di qua e di là, vorrebbe ammazzarlo, etc? Per tenersi in forma? No. Sta facendo le feste? No. Perché è fedele (per istinto, quindi poco merito) e vivendo con noi alla lunga ci assomiglia e si adatta e sa farci compagnia e darci amore (quello che ci dà e quello che ci inventiamo, è normale), ma non brilla sempre per acume, fidatevi. Specie quelli piccoli come topi di fogna cresciuti bene. 

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giovedì 8 agosto 2024

Al via il circo della paura




Fioriscono come muffa sul cibo che va a male siti, analisi, grafici, post e quant’altro che parlano di meteo in maniera allarmistica o fintamente rassicurante, decidono il giorno fino al quale mori -remo di caldo come bestie get -tate a bordo strada (guardate che di caldo si muo -re), e già si fregano le mani, sotto sotto (per puro interesse scientifico sia chiaro!), per i disastrosi temporali che faranno danni, feriti e magari mor -ti e che le persone con i neuroni che girano bene temono e odiano.
Dire che non vi capisco è poco.
Perché se io adoro i tumori, magari se mi tengo questo mio entusiasmo per me è meglio, data la sofferenza che provocano in milioni di persone. E’ un esempio un po’ fortino ma non eccessivo.

Un volta le persone collezionavano monete o francobolli, o tappi di bottiglia, o caxxi e caxxettini, non so, o si toccavano il pisticchio o la farfallazza con un bel giornaletto davanti, ma queste paranoie, questa voglia di analizzare e prevedere disastri e mettere ansia e paura non c’era, eravamo più normali, eravate più normali.
Adesso tutti sanno di meteo, anche il ragioniere pornomane del terzo e il pizzicagnolo trafficone di via Melara, tutti si sentono in dovere di avvisarci che quelli che riusciranno a non finire all’obito -rio per via del troppo caldo ci finiranno scuramente fra poco per i disastrosi temporali che sempre su questa Terra ormai invivibile chiudono la fase dell’estate torrida e insopportabile, che se la gode solo l’imbecille che non ha nulla da fare.

La vita è già abbastanza complicata… “in quest'epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell'orrore”…

(Se trovate il mio post sciocco, pieno di errori o noioso ditemelo, così licenzio il mio social media manager…)
(Img truyen-hentai punto com)

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mercoledì 1 maggio 2024

Video imbambolaneuroni

I video di Tik Tok e i Reel etc.
Uno diverte, due divertono, tre divertono, quattro irritano, da cinque in su fracassano le pareti scrotali, da dieci in su martellano il pene sino al prepuzio e stimolano la naturale propensione al su -icid -io.
Alcuni son fatti bene (uno su trenta? Su quaranta?), la maggior parte sono uguali o molto simili fra loro, i temi gira e rigira son sempre quelli: due orientali, uomo e donna, che si sfiorano o scontrano per strada; flirt sciocchi; finti dissapori fra bulli; casalinga felice perché marito e figli escono per andare al lavoro e a scuola; uomo che fa i lavori di casa perché la donna è tiranna; donna che chiede sesso e uomo non ha voglia e viceversa; donna che si aspetta pacca sul sedere e uomo che finge di darla; allusioni sessuali lievi o più pesanti; giochi di parole (ma sempre quelli), piroette, capriole, smorfiette, finte risate di sottofondo tipo programmi mediaset anni ‘80 e ‘90.
Cosa voglio dire? Un po’ di talento, qualche idea carina, ma tanta mediocrità e tante imitazioni. Visti in serie, ti rimbecilliscono, se sei adulto e maturo. Se sei bambino (che ci fai su internet?), adolescente o adulto mai cresciuto ti imbambolano il neurone, ti fanno danni seri e nel peggiore dei casi ti spingono a fare scemenze nella vita. 

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lunedì 8 aprile 2024

So cosa non è amicizia


E’ difficile definire l’amore, l’amicizia, la vita.
Più facile è dire cosa non è amore, cosa non è amicizia, cosa non è vita (per esempio la mo -rte, oppure uno speech del senatore filoarabo, il pesto senza pinoli o col basilico che sa di menta, o due ore di rete4 col telecomando fuori uso e la tv così lontana dal divano…).

Amicizia. Ne esistono di così diverse… A volte si nutrono molto, ci si vede tutti i santi giorni, si vive o si lavora insieme; a volte ci si sente spesso ma ci si vede poche volte l’anno, ci si saluta dalla finestra, ci si scambia un whatsapp, un favore, un’occhiata, una carineria, c’è tutta una gamma variegata, ci si conosce da quattro decenni, dall’asilo, da ieri l’altro e già non possiamo fare a meno dell’amico, o dell’amica, ma allora qui magari ci sono corpi cavernosi non indifferenti alla questione. A volte un’amicizia resiste a colpi durissimi, altre volte si squaglia al primo solicello. A volte si diventa amici di un amico, a volte si lascia un amico perché ha amici infrequentabili. Come detto, vale tutto. 

Ma una cosa posso dirla: se non senti abbastanza spesso il bisogno di sentire un amico o un’amica, di sapere come gli va la vita, cosa fa, e anche di vederla ogni tanto, o di fare cose insieme (una passeggiata, una chiacchierata telefonica, un cinema, una cena, un aperitivo, un furto con scasso), come si può parlare di amicizia?
Se non hai il desiderio di vederla, parlarle, divertirti con lei, di condividere cose, di sapere della sua vita, che cavolo di amicizia è? Di plastica.
Non parlo di frequenza. C’è chi si vede una volta l’anno, chi una volta a settimana; chi si sente tutti i giorni e chi dopo sette giorni, e poi trentadue, e poi tre volte in un giorno: è soggettivo.
Ma non sentirsi mai o quasi mai, non vedersi praticamente mai se non per caso, non fare mai nulla insieme, tutto questo non ce lo vedo davvero nella definizione di amicizia, spiace.
Incontrarsi solo per caso e salutarsi nei giorni di festa col messaggetto di auguri non è amicizia, è il livello basico di civiltà: io ho rapporti più intensi coi miei acari.
Non è amicizia. E’ un’illusione. Al massimo, una conoscenza. Parlare di amicizia qui sarebbe come parlare di “politica” citando il noto ganassa verde nord o il celebre bomba gigliato.

Se ci focalizziamo su queste considerazioni alla fine piuttosto banali ma verissime, vediamo che gli amici della nostra vita, che pensavamo una trentina, si riducono già della metà al primo passaggio. Se poi, approfondendo la cosa, ve ne restano uno o due sui trenta iniziali siete già individui baciati dagli Dei, nel cui grembo, è noto, sta il destino di tutti noi, tranne il mio che è apolide. La situazione più frequente è quella in cui concludete che ne avete due, o forse uno, e speriamo bene…

Non chiedetemi quanti amici ho, preferirei rispondere a domande più comode tipo chi preferisci fra i tuoi tre figli o quante volte attenti alla tua capacità visiva con semplici atti malvisti dai preti.

La mia è una considerazione neutra, ma il retrogusto amaro si avverte tutto. Del resto, la mia inattitudine in questo campo, la mia estraneità a  questa società è cosa nota: io mi muovo in modo diverso, da sempre, sono una vite in un mondo di chiodi, devo aver sbagliato sistema solare, le indicazioni a volte non sono chiarissime, nello spazio profondo. 

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mercoledì 3 aprile 2024

Cori razzisti

Sospendere i match? Idiota.
Uscire dal campo? Autolesionista e controproducente.
Rispondere con gestacci? Contrario al regolamento e pericoloso.
Squalificare le squadre, dar partita persa, etc: delirante, lunare, totalmente folle.
Squalificare le curve? Stupido e ingiusto (se Piero che sta al 3 di Via Roma ruba all’iper, blocchiamo la spesa di tutti i condòmini di Via Roma 3 per due mesi?)
Parlarne troppo, farli sentire? Controproducente, l’imbecille lo fa per avere notorietà.
E allora?
E allora, con la tecnologia di oggi, se proprio li si vuole estirpare anziché ignorare, provare a individuare chi lo fa e impedirgli l’accesso alle manifestazioni sportive per qualche anno. E, alla recidiva, per sempre. Non semplice? No, ma FATTIBILE. Il difetto è che sarebbe logico ed equo e oggi una cosa logca ed equa è impopolare.
Non accetto discussioni sul tema.
Del resto, avete mai sentito di qualcuno, dal primo giorno del calcio in Italia a ieri, che sia stato deriso, accusato o condannato per aver messo in dubbio l’onorabilità della madre di un direttore di gara o la fedeltà della sua consorte? E’ davvero peggio ululare come scimmie idiote a una persona di colore, rispetto a offendere l’onorabilità di una persona pallida? Io dico che son cose uguali. Io smusserei, ignorerei… la metà smette domani. L’altra metà, come detto, se proprio insiste avrà un bel daspo. Prendere provvedimenti che incentivano quese condotte o che causano danni enormi a persone innocenti è sintomo di scarsità neuronale grave. 
Possiamo leggere la carta di identità di un povero cristo dal satellite e non siamo in grado di beccare due scimmioni urlatori?
— 

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domenica 31 marzo 2024

Sogno rigato


Lei è sessualmente una rovina. 
Ovviamente non ne farò il nome, ma lei potrà riconoscersi, se si ricorda di essere acuta di mente come lo è di sguardo. 
La conosco da anni, non da sempre. Non è la più bella del mondo (devo essere oggettivo nei giudizi, non lo è, anche se quando compare non cerchi altro nel mondo), non ha misure da pin up, non è giovanissima. Ma il solo annuncio della sua presenza agita gli ormoni, è roba chimica, non spiegabile. I più navigati possono tenere la nave sotto controllo ma non impedire che ondeggi oltre i limiti. Una così la vuoi e basta, non ti chiedi perché e non guardi i dettagli.

Però c’è un però. Se devo giudicarla da conoscente quale sono (di più lei non permette, nemmeno il livello “amico” è praticabile con lei, e ovviamente mi andrebbe benissimo, data l’oggettiva situazione in essere), non posso omettere di dire che è troppo fredda.
Forse non lo è con chi sta con lei, ok. Ma questo non vuol dire nulla: è proprio lì che io ti giudico, facile essere giusta col tipo o con la tipa.
Troppo secca quando scrive un messaggio, poco affettuosa, ruvida, “distante”. Quell’asciutezza dei modi e della parola, quella sbrigatezza che potrebbe anche eccitare, ed eccita, se restiamo sul piano del flirt, ma che alla lunga, nell’ambito invece di un rapporto, come detto, e purtroppo, meno che amicale, ostacola e corrode. Non spreca mai una parola. Non ti cerca mai. Sembra quasi sempre farti un favore. Penso che se non ci fossero incontri occasionali (non frequenti), ragioni pratiche (comunque rare) o occasioni standard (es: festività) o qualche mia sporadica invenzione potrebbe anche non contattarmi per mesi e mesi.

E’ un vero peccato. Non è un difetto da niente. Puoi passarci sopra se ti interessano le due o tre ciulatine d’ordinanza e basta, altrimenti ti disturba e ti influenza, nonostante l’ormone vada avanti per la sua lubrificata strada.
Rovina un po’ il sogno.

Del resto io di persone perfette non ne ho ancora incontrato. Ok, non lo sarò neanch’io (ammettiamolo: oggi sono buono), ma ci sono difetti e difettini.
Comunque, ribadisco: è una delusione. Perché davvero è calamita e tu sei ferro, non si resiste, ha qualcosa di non spiegabile e che attiene alla sfera dell’attrazione sessuale, è femmina prima che donna, e la cosa strana è che non è, come ho detto, una che faccia chissà che per espandere i suoi effluvi chimici, o una bambola dalle dimensioni classiche, ma una donna “normale”, qualsiasi cosa voglia dire questo termine, forse di quella normalità che è poi la cosa migliore, ma comunque non tale da giustificare una roba simile: infatti è proprio una roba chimica, che agisce e basta.

Resta un sogno, ma rigato. 

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martedì 5 marzo 2024

Padri

Se mi guardo indietro, in diciotto mesi ho visto morire tre padri. Nessuno era giovanissimo, ma nessuno aveva un’età eccessiva.
Muoiono quasi sempre prima i padri, è una vecchia storia.

Se penso ai miei zii, ne sono morti tantissimi, uomini e donne, anche perché ne avevo tanti (diciotto, sopravvissuti cinque) ma adesso ho ben quattro zie vedove, inclusa mia madre.

Le tre famiglie erano oggettivamente diverse fra di loro, e poi la mamma è sempre la mamma, ma in certe famiglie il babbo è un po’ più babbo specie se la o le figlie sono femmine e non piccole.

Un padre è quasi sempre una figura secondaria: come puoi contrastare la figura della madre che ti porta in grembo, ti allatta (in un modo o nell’altro) ed è sempre quella, specialmente fino a qualche decennio fa, che ti sta più dietro e ti difende di più, dalla vita e dagli altri? E poi una volta lavorava solo il padre, e quindi era spesso via; oggi le cose sono un po' cambiate ma non moltissimo.

Oggi esistono padri un po’ diversi, che sono pure mamma, e che a volte sono più mamma della mamma, una volta questo era rarissimo, ma insomma: il dominio della mamma è ancora imbattibile. Ecco perché se mai avessi avuto un secondo figlio sarebbe stata mia intenzione condurre un esperimento innovativo riguardo all’allattamento. Mi limito a educare in modo non tradizionale la mia unica figlia.

Tornando ai tre padri, se ne sono andati e hanno lasciato un bel vuoto. In molti casi la scomparsa del padre apre il regolamento di conti, ma non sempre è così; quella della madre quasi mai, e questo perché il padre, pur se figura secondaria, è in genere quello da cui dipendono molte cose, economicamente e no.

Forse i padri son quelli che combinano più guai, anche se io credo che le donne siano solamente più astute. 
Forse sono quelli che uniscono di meno, ma anche qui non ne sono poi così tanto sicuro.
Di certo è una figura ingrata, bistrattata, secondaria. Molte diranno: a ragione. Non so. Ma così è.
Se guardiamo a quel che succedeva sino a pochissimi decenni fa, vediamo che sono quelli che rischiano di più, fanno i lavori più pesanti, affrontano le situazioni più pericolose e si consumano di più; tutto questo, unito a una maggiore forza ma a una minore resistenza fisica (non devono procreare), giustifica forse la loro minor longevità.

Quel che mi ha ispirato questo breve post è un pensiero per questi padri bistrattati che dopo aver costruito una famiglia con fatica e spesso averla anche tenuta su, sebbene in maniera non appariscente, se ne vanno e non tornano più.

Si dice che è innaturale che un genitore sopravviva a suo figlio, e può esserci del vero. In compenso la morte di un genitore è sempre una cesura netta, dolorosa, totale, una ferita slabbrata che sanguinerà sempre, che mette un punto con un prima e un dopo. Anche se tua madre ti ha allevato senza cura, anche se tuo padre era spesso assente, anche se si sono divisi malamente; figurarsi se questo non è accaduto.

Con la morte del primo genitore cominciamo un pochino a morire anche noi, che magari eravamo a quel punto già assai fiaccati dalla vita, oppure no; comincia quel processo, inavvertibile e lentissimo, che ci porterà alla fine.

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sabato 2 marzo 2024

La luce di oggi non ha incontrato i suoi occhi




In ottantotto anni ne ha viste tante, chissà quante difficoltà ha incontrato e quante ne ha superate, quanti colpi la vita gli ha inferto e quanti di questi colpi è riuscito a trasformare in ferite di guerra e segni di forza, chissà quanti miliardi di miliardi di pensieri ha avuto e quante belle cose ha fatto, chissà quante volte ha detto cose bellissime e quante volte ha perso l’attimo per dirle, e anche quanti errori ha fatto, è naturale. 

Ha attraversato tempi diversi e ha visto molti dei principali cambiamenti di questo indecifrabile mondo degli uomini, ed è la prima persona “conosciuta” che ho incontrato in questo quartiere, ancora non gli avevo parlato e già era incredibilmente parte del nostro passato, in qualche modo, all’inizio per noi di un nuovo presente. 

E’ un uomo del secolo scorso ma anche di questo, perché aveva saputo adattarsi come e meglio di altri ai cambiamenti, tanto da non apparire mai fuori posto o datato, né come agire né come pensiero, e dato che un “Secolo” me lo recapitava ogni giorno nella buca…

Mi è sempre parso un uomo che si misura sulle lunghe distanze e sulle cose importanti, uno che agisce senza dar troppo a vedere, genovese dentro, sia pure in esilio parziale, genoano di fede sportiva, uno di quelli, intuisco, che si sbilanciano poco ma se lo fanno non serve la firma su un foglio; uno di quelli che di rado si impone ma quando sente che è necessario sa come farlo; sia pure in terra apuana, ancorché di confine, la sua genovesità si respira a pieni polmoni anche in casa, ne sono intrise le pareti, era qualcosa che si sentiva nell’aria, è qualcosa che si sente nell’aria, in quel piccolo pezzo di Genova che ho qui accanto. 

Padre presumo attento e capace di due brave e notevoli figliole, accompagnato da sessantasei anni a chi, anche lei poco appariscente ma di forte presenza, in queste ore avrà mille tristi pensieri, ha avuto la fortuna di poter vivere sempre accanto a chi gli era più vicino, dal primo all’ultimo giorno, in una specie di famiglia allargata che funzionava alla perfezione in un delicato gioco di incastri che intuisco non sempre agevoli: non è poco, davvero non è poco. Un passato da lavoratore, una famiglia in formazione, gli anni della pensione e poi il nuovo ruolo di nonno e di cuoco. Sempre misurato e cortese, silenzioso ma non distante, garbato ma non affettato, abitudinario ma non noioso, serio ma non freddo, nonostante apparisse poco era sempre avvertibile la sua presenza, discreta ma costante, forse più quando era assente che quando lo avevi davanti, insomma più di luce riflessa che diretta, ma sempre in grado di illuminare quel che aveva bisogno di esserlo; non era il lampione che illumina a giorno la piazza e quasi disturba, ma la lampadina umile e cortese, poco lodata e poco notata ma indispensabile, che ti guida su per le strette e ripide scale e senza la quale avanzi a fatica; non era solo il democratico e indiscusso re del castello, ma anche l’oscuro ingranaggio che in silenzio faceva girare il meccanismo, quel meccanismo complesso e fragile che si chiama famiglia o famiglia allargata (alla maniera degli avi), quell’ingranaggio che non diresti e che invece è alla base del movimento, quello intorno a cui ruotavano le altre parti: senza darlo a vedere, era il tutto anche se non lo pareva, solo chi rifletteva un poco ne aveva la percezione. Io lo conoscevo un po’ ma non moltissimo, eppure si avvertiva la natura di brava persona, quello stampo di persone oggi sempre meno in voga. 

E adesso, passato un poco di tempo da queste ore di confusa sorpresa e di afflitto dovere, la sua presenza non sarà meno avvertibile, perché quando si è come lui se ne va il corpo, se ne vanno per sempre le sue debolezze, la sua ombra, i suoi gesti, ma non l’impronta che lascia sulle persone, sui luoghi, sulle cose. E il meccanismo continuerà a girare, perché quello che lo teneva su non era di certo solo la spoglia mortale.

Non è mai il momento giusto per andarsene, ma quel momento arriva sempre. E, dopo, nulla sarà come prima, perché nulla è mai come prima, ogni giorno lascia dietro di sé cose che non avremo più o che avremo ancora ma non così, è una corsa senza sosta e senza senso, un percorso a perdere, in cui occorre cercare di trattenere quel che si può e resistere ai colpi avversi. Ogni giorno ci toglie qualcosa, ci infligge un piccolo o grande colpo, ci fiacca vieppiù, e ogni mattina è sempre più dura ricominciare. Questo vale per tutti, anche per chi ancora è nel fiore o quasi degli anni, e ancor di più per chi è agli ultimi giri, cambia solo il grado con cui si percepisce questo lento sfiorire: avanzi e gli altri che cadono, i tempi che inaridiscono, il corpo che ti abbandona sono tutti piccoli tasselli che se ne vanno piano piano, con spietata costanza, e lasciano il mosaico sempre meno comprensibile e godibile.

Dopo un antico e grande dolore mai dimenticato, che ha avuto nel fiore della sua età adulta e che immagino impossibile da superare del tutto, e dopo la gioia di aver visto comunque le sue due creature più fortunate al loro giusto posto nel mondo e, infine, un meraviglioso nipote, aveva avuto negli ultimi anni qualche guaio fisico, anche rilevante, sempre superato brillantemente; quest’ultimo, improvviso e che pareva anch’esso esorcizzato, con un colpo di coda notturno, proprio quando pareva appena cominciato l’ennesimo percorso di recupero, lo ha fermato.

Potrei anche pensare che non avesse più risorse, fisiche o spirituali, per fare anche questa salita, che non avesse più voglia di salire per l’ennesima volta quella scala lunga da cui era già precipitato anni fa, e se così fosse lo capirei benissimo: invecchiando la voglia di ricominciare da capo o quasi diminuisce e anche l’amore per chi potresti lasciare, intatto, non riesce a rinfocolarla: sai che il tuo amore non li lascerà mai, e che non appassiranno mai i fiori nati dai semi che hai gettato in loro, ma senti anche che davvero non ce la fai più a reggere il timone e che è ora di andare in coperta per la lunga notte.
Oppure, semplicemente, il caso che regola le nostre vite ha deciso che quello era l’attimo (in)giusto per cancellare un altro coraggioso tentativo di rimettersi in piedi e riprendere l’incerto ma lungo cammino di un capitano mai domo, ferito ma non distrutto, colpito ma non sconfitto,  consegnando invece al ricordo quel che prima era vita e che comunque, superati questi istanti, non sarà mai morte del tutto, anche se, per come siamo fatti, la presenza fisica è così potente da stordire quando viene a mancare.

A volte avevamo parlato un po’ più a lungo dei soliti saluti tra vicini e avevo capito con certezza sorprendente quanto fosse orgoglioso della sua famiglia e delle sue figlie: cose che di rado si riescono a dire agli interessati, semmai è più facile farle capire indirettamente, con i gesti, gli sguardi, la presenza e che a volte, paradossalmente, è più facile che traspaiano da discorsi casuali con persone che sono conoscenti o poco più. Della compagna di una vita non si era parlato, non eravamo in totale confidenza, del resto si tratta della famiglia che più mi piace fra quelle che frequento meno, se mi si passa questa definzione, ma direi che sei decenni abbondanti dicono molte cose anche a chi non le sa tutte.

Questa mattina ho saputo, e meno male che piove e il cielo non ha squarci di stupido sereno ma solo una cappa color piombo che inzuppa gli uomini e le cose, perché davvero non sarebbe stato adatto un tempo diverso.

Si chiama Vito. 

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martedì 20 febbraio 2024

Triste e consueta parabola

28 giorni. 
E, nell’altro caso, 16 (ma negli ultimi 28 due soli lampi, ravvicinati e piuttosto neutri).
A me rapporti così irragionevolmente freddi e distanti, così faticati e diffidenti, così inspiegabilmente sofferti e timorosi, dopo tutti questi anni, dopo tutto quello che ho cercato di fare per abbattare questi muri di gomma, dopo tutta la mia amicizia, il mio vero affetto, la mia disponibilità, la mia sincerità non vanno più bene. Non ho più vent’anni, posso scegliere.
Mi dispiace enormemente, e non è un modo di dire, perché immaginavo persone molto diverse, e un futuro molto diverso, ma i fatti sono questi e sono chiari.
Se qualcuno non ti cerca, vuol dire che non gli manchi. E non è reato, certo che no. Ma tante cose brutte non lo sono.
Per non parlare della fiducia tradita, molto più che un sospetto.
Vi auguro di non pentirvi mai per aver calpestato con noncuranza, quasi con irritato fastidio, fiori così, perché la sensazione sarebbe orribile. Sarà comunque difficile che accada.
Ci ho provato a lungo. So di averlo fatto sempre in buona fede e col cuore, senza risparmiarmi mai.
Ma oggi come oggi il cuore serve ai più solo a pompar sangue. Lo so bene, ma ogni volta averne la conferma è disturbante. Non ti abitui mai a certe dinamiche.

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venerdì 16 febbraio 2024

La outine appetitosa del travet erotomane

E’ come lo yoga delle quattro o la meditazione serale, la corsetta mattutina o o la palestra o la pennichella: tutti momenti dedicati a te, che fai ogni giorno o quasi, per hobby, per divertimento, per mantenerti in forma, per inerzia, o quasi come un rito.

Un po’ più stuzzicante, in effetti, ma il senso è quello.
Un po’ più di fantasia. Membra tese e muscoli vivaci, smania e prurito, desiderio e paura, voglia di spaccare e voglia di farsi fare. Si fa in compagnia.
Un po’ più imprevedibile quanto a sviluppo ed esiti, un po’ più rischioso o foriero di stranezze e novità, e per questo più intrigante.
Un po’ più impegnativo quanto a ricerca del momento ad hoc e dell’incastro giusto.

Dopo, forse non stai meglio. Durante però ti sembra di non essere lì e questo è già un sollievo. Che si deve fare? Lo so che non avete risposte, appunto, come non ne ho io, quindi inutile chiederselo o chiederlo. Si fa, con continuità, con precisione impiegatizia, con solerzia quasi professionale. Giocando seriamente, come fosse un dovere e non solo un piacere; e quando sei “costretto” a farlo, e il copione è poco dignitoso e un poco vergognoso, sai trarne comunque il tuo piacere di attore consumato, in un vortice che ti risucchia, sia tu re o suddito, padrone o schiavo, cliente o cameriere, femmina o maschio, manico o secchiello.

E’ un impegno quasi fisso, che non è ossessione quotidiana ma abitudine ossessiva, che vuoi tu ma che anche ti è imposta, come un gioco di potere che ti regala vortici di sadico e perverso dominio come una punizione meritata e piccante cui ti sottoponi con umile e docile obbedienza; come un tè delle cinque, solo che a volte tu sei l’Inglese che se lo gusta con piacere e con i giusti biscottini e a volte sei il tè caldo nella tazza.

La routine appetitosa del travet erotomane.
Il cartellino presenze del ligio burocrate dell’amplesso.
L’ennesima tacca scalfita con orgoglio sul bastone del don giovanni o dell’alpinista.
La marchetta lubrica e scandalosa della meretrice del terzo piano.
“Tutti i muscoli del corpo pronti per l’accoppiamento”.
Il timbrino giornaliero sulla tessera punti o fedeltà.
La tua oasi di libertà o la tua gabbia di schiavitù.
Quel che ti fa volare nell’accecante piacere del possesso o che ti sprofonda nell’infimo e inconfessabile gusto della sottomissione. 
Sei scandalo e dai scandalo.
Il mondo ti guarda di nascosto, eccitato e divertito, curioso e scandalizzato, ma lubrico e diabolico, e finge di indignarsi ma ti chiede di continuare, e si prende senza indugio, quasi vergognandosi ma anche orgogliosamente, il suo piacere inconfessabile di santo guardone.

E quando non si fa aspetti il giorno che si fa, e quando si fa lo fai senza domande, come fosse ormai cosa nota e parte della giornata, sempre in equilibrio sul filo del possibile, con l’orologio a scandire i tempi, il sole a darti lo stop, la mattina o il dopo pranzo a darti il via, e poi il mondo che riprende il sopravvento e un inferno di disordine da sistemare in fretta, un umido teatro da riassettare, senza dimenticare il minimo dettaglio di questo spettacolo da giocoliere.
Comandi e imponi e regni o subisci e sei usato e manovrato, in un vortice che sospende il tempo e ti astrae dallo spazio: non sei più lì, potresti essere ovunque, potrebbe accaderti qualunque cosa, non ti curi più degli altri e del mondo di fuori, non esiste più nulla tranne quel che sei e che fai o ti fanno.

Una pausa caffè al bar dello sfizio e del perverso, un giro sull’ottovolante dell’indicibile, una sorsata di abisso, una leccata di caramello, una panna che monta, un muscolo che tende fino a scoppiare e una crema che spruzza, al galoppo senza sella e sei cavallo o sei fantino, ma sempre cavalchi nelle praterie della dimenticanza, ti annulli e riemergi, rinasci da padrone o da schiavo, per essere servito o per servire, fino a quando è ora di riprendere la vita e mollare questi giochi infamanti e dissocianti, con finali repentini e con foga da amanti scoperti, pepe al culo e muscoli tesi, fino al prossimo tuffo in questo mare agitato, lubrico e indecente, in cui sei squalo o pesciolino ma sempre ti dimeni come in gabbia un topolino. 

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lunedì 12 febbraio 2024

Consigli di acchiappanza

Ancora cercate di staccare una bella ragazza (o anche brutta, le bruttine vanno forte, a me piacciono: ehi baby, hai speranze, visto?) con frasi tipo: ma non ci siamo già visti da qualche parte (sì, nei tuoi sogni con la mano amica) oppure ma tuo padre fa il ladro? E perchè? Perché ha rubato due stelle nel cielo per fare i tuoi occhi (mecojoni)?
Vi do alcuni metodi di acchiappanza un poco meno neolitici.
1) “altezza è mezza bellezza”… e anche per l’altra metà sei a postissimo
(da non usare sotto 1,75 altrimenti si rischia; sotto 1,70 è una presa per il sedere)
2) certo che per il mestiere che fai è il colmo… (e, al suo: perchè?:) lasci senza parole… (da usare solo con logopediste fascinosce che si ambisce a ghermire)
3) senti, ho davvero bisogno di un aiuto, ho un amico che vorrebbe chiedere di uscire a una ragazza che adora ma ha paura del suo no, tu cosa mi consigli di dirgli? (E quando lei risponderà: deve dirglielo assolutamente!:) ok, a che ora ti passo a prendere stasera? Alle 8 va bene? (Se invece lei ti risponde: “il tuo amico deve stare zitto e farsi una s*ga”, ce l’hai nel kulo)
4) ehi baby… se tu avessi una gemella io potrei essere il bigamo più felice al mondo! (Eviterei il “baby” con quelle da sguardo incazzoso stile metoomortealpatriarcatol’uteroèmioemelogestiscoio)
5) “se fai l’amore come cammini… vengo a piedi con te!” (Cit.) (eviterei con chi cammina a papera o ha leggera zoppia)
Inoltre porterei sempre la fede al dito (attira le donne come il miele gli orsi, è per via della sindrome dello scaffale vuoto di cui un giorno vi parlerò —-dott. Ottonello, consulente relazionale ed esperto sessuale, ricevo privatamente nel seminterrato di zia un tempo pied-à-terre di zio che ora è morto, 100 euro a seduta, prima lezione di sesso gratis-).
E se ti chiedono: ma sei sposato? Eviterei la classica replica: sì ma siamo in crisi, sì ma ci stiamo lasciando, etc… funziona sempre, è vero, ma stilisticamente è un po’ lisa. Passerei a un “sì, ma mi vuole lasciare, dice che non mi merita e ha sempre sensi di colpa”.
 
 
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domenica 4 febbraio 2024

So che darete il meglio di voi

Vi daranno la notizia e voi direte: ma dai, l’ho visto un mese fa e stava bene!Oppure: chi??? O: E quanti anni aveva? O ancora: ma davvero? Però…
E due minuti dopo a farvi caffettino e brioscia da nerde quali siete, o a ciulare come cani infoiati, e buonanotte.
Non mi aspetto nulla da voi, perché nulla di buono fate presagire, mi spiace ma dico quel che penso.
Non esiste una sola persona che darebbe la vita per me (esclusa la madre ovvio) e ci sta, ma non esiste nessuno che farebbe un sacrificio più che piccolo per me, e questo è assoluto schifo, il vostro schifo.
Non mi aspetto lacrime, dolore, ricordo imperituro… ahahaha, nemmeno vi ricordate della gente da vivi, figurati da crepatissimi! Tempo due minuti e son mai esistito!
Del resto cazzomene di essere ricordato, pianto o rimpianto una volta passato di là: finisco nel nulla e vedo nulla, chissene. Ma è per chiacchierare: so che darete il meglio del peggio che siete, lo so perché vi conosco. La cosa mi fa un po’ schifo ma ci son preparato, sarà disgustato ma non sorpreso.
 
 
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lunedì 29 gennaio 2024

Due idee grandiose

Da grande vorrei fare l’inventore.
Del resto al punto in cui sono per continuare a mangiare devo pur… inventarmi qualcosa.

Ho sempre ammirato chi ha migliorato la vita degli esseri umani con il frutto purissimo del proprio ingegno cristallino: pensate solo a quali grandi invenzioni siano state il telecomando senza fili per la tv  (Robert Adler) e la minigonna (Mary Quant)!

Oggi in particolare mi concentrerei per trovare la soluzione a due problemi che mi angustiano la vita e mi costringono poi a farmi di Cynar, il noto amaro che opera contro il logorio della vita moderna, come era uso dire il grande Calindri.

La prima invenzione ha a che fare con la cartoleria. Parlo delle graffettatrici o pinzatrici. E’ una scocciatura insopportabile quella di provare a graffettare e sparare a vuoto perché sono finiti i punti, da una recente statistica è emerso che si tratta di un evento in grado di aumentare lo stress degli impiegati ed è il responsabile di almeno il 7% di tutti i delitti avvenuti in ambito lavorativo nel secolo scorso. Inventerei dunque la graffettatrice che con un led luminoso a energia atomica avvisa l’utilizzatore quando siamo a 5-6 punti di metallo dalla fine, di modo che possa provvedere a ricaricare lo strumento senza soffire le atroci conseguenze del penoso shock appena descritto. Non mi piace volare ma per ritirare il Nobel farei un’eccezione.

La seconda è un chip che impiantato obbligatoriamente sottopelle a ciascun adulto over 20 renderebbe inevitabilmente visibili sulla fronte di ciascuno, a vantaggio degli altri, alcuni dati essenziali sulla persona: stato civile (sposato, divorziato, single, mortodifiga), partito per cui si è votato alle ultime elezioni, elenco dei primi dieci oggetti che nella vita ci si è sparati su per il sedere. Questo faciliterebbe le relazioni sociali e fornirebbe una fonte di intrattenimento gratuita durate le lunghe attese alle Poste o alla Asl.

Lo so, sembro un idiota, ma è tipico dei geni: genio e sregolatezza. autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it) Per tornare alla home page clicca qui. Se questo blog ti interessa e vuoi essere aggiornato sui suoi contenuti iscriviti al mio feed oppure seguimi via mail. Se vuoi segnalare questo articolo clicca sul titolo del post e vai a fondo post.

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giovedì 25 gennaio 2024

Ciao, carissimo!


I social mi stanno un po’ stancando. Tiktok è per gente con problemi. Twitter era ottimo ma poi è arrivato Musk, adesso son quattro gatti e il pepe non c’è più. Instagram è pura vacuità. Facebook era quello in cui si poteva comunicare di più, ma negli ultimi anni è stato abbandonato da tanti, è da sempre snobbato dai giovani (quelli che hanno gusti musicali di nerda) e ormai la gente è sempre più assente o inerte, dopo tre righe passa oltre: la vita è stressante, i neuroni pochi e stanchi. Youtube forse sta tornando in auge, non saprei, ma i fasti di un tempo se li scorda. 
Il blog è un bello strumento, ma ormai se uno fa qualcosa va sui social. Pubblicare un libro per i contemporanei è come cercare di svuotare l’oceano con un secchiello: non avete idea di quanti libri escono in un mese, nessuno li legge, salvo rare eccezioni (quelle in cui l’autore è famoso e vende, anche se scrive minchiate). Potrebbe aver senso pubblicare un futuro classico: sarebbe odiato dalle generazioni successive e dagli studenti, ma almeno qualche lettore l’avrebbe. Vedrò cosa posso fare.

Continuare a scrivere qui mi dà l’illusione della presenza e della partecipazione di gente che perlopiù è invece indifferente; e non parlo dei like, a quelli non ho mai badato. Ma anche le illusioni alla lunga hanno l’affanno.

Non si comunica più. Io ormai saluto solo, con affetto intendiamoci (Carissimo! Ciao! Come stai? Tutto bene? Quant’è, eh?), ma è tutto. Se parli di qualcosa quell’altro già sta pensando ai casi suoi ma annuisce cortese: non gli frega nulla. Se ti chiede come stai? Rispondi “bene”, per carità, altrimenti poi è costretto a chiederti e come mai? E tu devi parlare di te, e lui manco ti ascolta. A volte neppure ti chiede “come mai”? Manco si ricorda il tuo nome, vuoi scommettere? A volte nemmeno annuisce, ti sta davanti come se fosse in coma e poi dice; ah sì, eh? Ti capisco, ora ti devo lasciare, ciao. Se è pronto appena ti vede da lontano cambia marciapiede o strada: io me ne accorgo, cari bipedi grigi e spenti, ma faccio finta di non vedere, mi fate pena. Saluto gente con la quale avrò scambiato dieci parole in dieci anni (saluti esclusi). Sembra che abbiamo tante conoscenze invece non abbiamo per amico manco un cane e se ce l’abbiamo sai che soddisfazione: il cane è fedele per definizione, anche il cane del baffetto tedesco era fedele al suo padrone nonostante fosse un verme schifoso, nella fedeltà del cane non c’è giudizio di merito né scelta, solo devozione per istinto. 

L’uomo nasce animale sociale, adesso è solo un animale. Non facciamo nemmeno più finta: ognuno pensa a sé, alla fine conta solo l’individuo, gli altri limitatamente alla misura in cui possono essere utili. Anche le storie d’amore, se togli quelle fresche di conio, quelle che vanno avanti per abitudine/convenienza e qualche raro caso fortunato, sono ormai solo o storie di sesso spesso non esclusivo o rapporti bianchi o separazioni di fatto. 

Se riesci ad astrarti e a guardare il quadro da fuori, hai un’immagine desolante del tutto. 

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mercoledì 24 gennaio 2024

Amico è… ?

AMICO E’…?*

Ho pochissimi amici (li ho?), però ancora non ho trovato una definizione di amico che sia al contempo sensata e realistica. Ma non so che termine usare e allora uso quello, per farmi capire.

Ho standard troppo alti? Se lo dico sembro superbo, evito. La storia mi giudicherà, non io, ho altro a cui pensare. E poi mica faccio selezione. E chi seleziono? Il signor Nessuno e la signora Non C’è?
Sarà perché sono pesante? No, escludo 100%. Pesante mi trova chi ha gusti pessimi (non è arroganza o immodestia, è che è vero. Se son bravo a tirare i penalty e lo dico non sono superbo, son bravo a calciarli, è diverso).
Poco estroverso? Può essere, ma specialmente fino ai 30. Tuttavia adesso non sono un animatore, anche se non mi chiudo nel bunker.

Ma poi sono amici, quei pochi? In che senso? E io? Lo sono? Magari non per come loro vedono la questione.
Comunque da quando li vedo ogni tot anni ci vado molto d’accordo, questo è un vantaggio.

Il mio è un grido di aiuto? No. Un rimpianto? Forse. Una constatazione amara? Sì. Più che altro son confuso: a vent’anni non pensavo sarebbe andata così. Non sapevo come sarebbe finita, ma questo quadro lo avrei trovato strano e improbabile.

Troppi non ne vorrei, devo dire la verità. Del resto la parola troppi indica già un eccesso. Ma almeno capire la definizione mi piacerebbe, che diamine.
Oggi comunque l’amicizia non si coltiva più. Le lettere non sono più attuali. I whatsapp ok ma è un’altra cosa. Le telefonate, guai! Prima devi preannunciarti su whatsapp. Vedersi è facoltativo. 
Un tempo due amici si facevano un bicchierino e due discorsi, adesso questo gusto non c’è più.
Oggi trovo difficoltà enormi a coltivare un rapporto, nessuno fa sponda, è disarmante. Anche dopo anni non si fa breccia.

Se poi sei amico di una donna e questa è sposata, cancellala pure. Se sei amico di un uomo è questo è sposato, molte volte lo stesso.
Certo, l’istinto sessuale complica, ma quello è sempre esistito e non ha mai impedito le amicizie. I greci, ricordiamolo, avevano rapporti di ogni tipo anche coi maschi (giovani). L’istinto sessuale è parte di noi, non gli attribuirei troppe responsabilità. E’ che mancate di coraggio e di autonomia. Non siete padroni delle vostre vite. Un amico lo si butta via, se trovi altro. E’ questo l’andazzo. Del resto chi non si stufa di un gioco o di un gadget o di un luogo di villeggiatura, dopo anni e anni?

Alla fine il matrimonio forse qualche colpa ce l’ha, più che il sesso.
Ecco, se fosse per questo, non mi sarei dovuto sposare, perché in questo mondo, se ti sposi, con gli amici è finita, ad eccezione dei single, dei divorziati o di quelli (pochi) che interpretano il matrimonio nel modo giusto. Con le amiche stessa roba e pure peggio, le vecchie le perdi, di nuove non te ne fai: ci sono le convenienze.
Da non sposato gestisci meglio. Lo so che non ha senso, lo dico anche io. Ma così è.
La pandemia le cose non le ha migliorate, ma insomma: il problema è più antico.

Ma si fa per parlare, eh. 
Non avevo voglia stasera di parlare dell’Inter (mica sono bianconero) o di quel fenomeno del Ganassa che rappresenta un esempio per tutti: se ce l’ha fatta lui…

Un amico forse è quello che non cambia mai nei tuoi confronti e di cui non si avverte il peso: fra tutte le definizioni anche questa è parzialissima e forse assurda, ma non la trovo bruttissima. 

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Sugli “altri”, che non sono noi: e questo resta un gran difetto.

A volte ho l’impressione che gli altri ce l’abbiano su con me. Magari del tutto improvvisamente e, a mio modo di vedere, senza uno straccio di motivo. Ma naturalmente potrei sbagliarmi. Ad innescare questa mia sensazione può essere una risposta non data o data veloce, una carenza di attenzione, una mancanza di tatto.

Al riguardo individuerei tre possibili spiegazioni:
1) ce l’hanno su con me, senza ragione, perché sono umorali o interpretano le cose a cacchio;
2) non ce l’hanno su con me, semplicemente vanno di fretta, pensano ad altro, io per loro conto poco di più dell’ombrello durante un periodo anticiclonico, e quindi la loro fretta e noncuranza viene da me interpretata per astio, e invece è solo che non frega loro granché di me, insomma, non è rabbia ma solo sana indifferenza (ehi, che fortuna!);
3) nulla di tutto questo è vero e io ho un piccolo ma robusto complesso di persecuzione.

Fondamentalmente (che avverbione, eh: non vuol dire nulla ma iniziarci un periodo fa scena) il problema degli altri è che sono altro da noi. Se fossero noi, avremmo pochi problemi (no, non nessuno, perché ne abbiamo pure con noi stessi, pensateci). Il fatto che siano altro da noi complica le cose in maniera esponenziale. Ma questo è irrisolvibile, gli altri sono gli altri e noi siamo noi, anche se un trio sanremese provò a farci credere che non è così.

(Ogni tanto metto uno spazio per facilitare la lettura e anche perché ancora non costa nulla)

Penso che un elemento che intorbida le acque nel mio stagno sia che io do ai rapporti personali un’importanza maggiore di quello che la media delle persone è abituata a dare. E questo accade un po’ per dna/indole un po’ per educazione/abitudine. La vita è una, è breve e finisce senza preavviso, a volte anche presto o sul più bello (tipo quando stai per condurre in porto da vittorioso una finale di coppa). Nessuno ha mai letto il libretto di istruzioni e nessuno ha mai visto il libretto di garanzia: sa tanto di prodotto di dubbia provenienza, tendenzialmente taroccato, una di quelle cose che faresti meglio a non acquistare, specie online: il punto è che non la acquisti, te la ritrovi di botto e due secondi dopo un’ostetrica cattiva ti sculaccia e ti pulisce da strati di roba tipo muco con un asciugamano.

Essendo quindi la vita un articolo di natura incerta, dall’uso dubbio e potenzialmente una gran fregatura, tendo a non avere molti rapporti ma a non gestire quelli che ho come se fossero i calzini poco prima di finire in lavatrice (addio). E quindi mi scontro con persone che invece, a volte, ti trattano come se fossi un oggetto o anche meno. Io considero sempre una persona, anche la peggiore, più importante di qualsiasi oggetto (potrei fare un’eccezione per l’adrenalina se fossi nel pieno di uno shock anafilattico) e questa, a ben vedere, è la mia rovina, perché dà la stura a una serie di inevitabili, continue piccole e grandi delusioni.

Dovremmo allora fare a meno di questi “altri”? Forse sì, ma è impossibile, ecco quindi che occore sceglierli meglio, forse. Ma anche questa è una vana pretesa: faremo sempre errori, gli altri sono mutevoli, imprevedibili, traditori, come spesso, occorre ammetterlo, siamo noi: d’altra parte, io sono io ma per te sono un altro, la fregatura sta proprio qui.  

Alla fine, penso che occorra rassegarsi: del resto che si tratta di un prodotto di cui sconsiglierei l’acquisto l’ho già detto, vero? 

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