Essere sottovalutati è sgradevole ma comunque più comodo e divertente dell'essere sopravvalutati: in quest'ultimo caso infatti puoi essere vittima dell' ansia da prestazione indotta dalle aspettative che si creano sulle tue performance, nel primo invece hai meno rogne a lungo termine e puoi anche comportarti da stupido in alcune occasioni nelle quali non intendi investire particolari risorse, tanto più che non puoi danneggiare una reputazione che già barcolla nell'opinione altrui; hai solo qualche effetto collaterale tipo perdite di tempo o mal di testa flash, ma col tempo riesci sicuramente a gestire anche questi aspetti non desiderabili.
D'altra parte se ti sottovalutano lo capisci solo se vali di più rispetto al livello cui l'interlocutore, in maniera esplicita o indiretta, ti pone, altrimenti non ti potresti accorgere dello spread fra la valutazione espressa da chi ti sta valutando e lo stato reale come da te percepito di una certa tua performance, riguardi essa l'affidabilità, la precisione, o altri aspetti rilevanti, sul lavoro e nella vita, per giudicare il valore di un individuo da un punto di vista prettamente operativo.
Alla lunga, è vero, l'emergere frequente di disagi come questo può essere scocciante e può ingenerare in te il dubbio che gli altri possano avere una qualche ragione, dopotutto. Dubitare di se stessi, del resto, è facoltà solo di chi vale, e non di chi pensa di valere. Tutto questo ti spinge allora, di tanto in tanto, quasi come se si trattasse di ritarare periodicamente gli strumenti di autodiagnosi, ad esaminare alcuni casus belli nel dettaglio, al fine di verificare punto per punto e con accuratezza se puoi ancora considerarti vittima dell'ennesima e sciocca sottovalutazione delle tue sia pur moderate capacità o se per caso tu debba rivedere un po' al ribasso la percezione che hai di esse. Alla fine arrivi quasi sempre alla conclusione che a dover rivedere qualcosa non sei tu, e questo è rassicurante ma anche, francamente, antipatico, tanto più quanto più spesso e con quante più persone la vicenda si ripete.
Sicuramente il fatto di avere un atteggiamento neutro, di mantenere un profilo basso, di viaggiare a luci spente, favorisce l'insorgere di situazioni di questo tipo: chi ha le luci spente può essere facilmente scambiato per uno che non le ha o che le ha guaste... mentre chi gira con due fari potentissimi sempre sparati a mille, ad un occhio grezzo e frettoloso apparirà sicuramente come superiore a chi prefersisce muoversi fra le linee senza seminare arroganza e amor di sé a destra e a manca.
Sottovalutare l'altro da noi è tipico dell'essere umano, che generalmente coordina le sinapsi sugli spartiti dei pregiudizi, dei preconcetti e delle prime impressioni; quando però diventa abitudine e quando ha per oggetto individui che si conoscono da tempo insorge sicuramente una colpa che travalica quella che può essere una innata per quanto deprecabile caratteristica del nostro essere persone.
Sopravvalutiamo l'altro, invece, o quando siamo davvero poco dotati di autostima e tendiamo a "buttarci via", e allora tutti appaiono ai nostri occhi migliori o più fortunati di noi, un po' come agli occhi di un'anoressica il suo corpo smagrito tenderà sempre ad apparire come vittima dell'adipe assassino, o quando mitizziamo qualcuno (un cantante, un attore, uno sportivo) e allora la nostra ipervalutazione è rivolta verso persone specifiche e, sebbene spesso irragionevole, tenuto conto delle reali qualità dell'adorato, di certo più spiegabile e fondata di quella erga omnes che invece, a mio parere, nasconde una patologia.
(M.O., "Lettere a me stesso", 2001)
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