(Testo amaro, sconsigliato ai depressi)
In tutta franchezza c’è gente che scrive meglio di me.
No, non dico Dostoevskij (che peraltro scriveva per mangiare e per giocare, e in fretta: figurati cosa avrebbe prodotto se stipendiato a dovere e lasciato tranquillo. Forse nulla? Ci sta) o, che so, Schnitzler, Turgenev, etc.
Questa è gente davvero brava, io posso solo aspirare ad avvicinarli.
Anche scrivere solo un Fuga nelle tenebre o un Delitto e castigo, in tutta la vita, mi colmerebbe di eterna soddisfazione.
Parlo di chi ancora non è famoso come questi tizi.
E, sempre in tutta franchezza, c’è gente che scrive peggio.
Anzi, voglio essere sincero. Incontro più gente che scrive peggio, che meglio, di me, se escludo i classici e i contemporanei celebri e di talento (molti celebri non sono di talento). Ma incontro anche tanti che scrivono davvero bene. E poi saper scrivere e non sapersi vendere serve a poco, in ottica fama e celebrità. E io, come detto, forse posso dire qualcosa sul primo punto, molto poco sul secondo. O forse, alla fine, non sono nemmeno poi così bravo.
E poi, cosa vuol dire essere bravo? E per chi? E a che pro?
Non parlo dei social, io qui pubblico una parte di quello che mi esce.
Cosa mi cambierebbe essere letto da 4 milioni di persone invece che da 100-200? E da 100 milioni?
Intanto la soddisfazione: si scrive innanzitutto per insopprimibile necessità, io scriverei anche se mi dicessero con certezza che nessuno mi legge, ma sapere che sei letto, anche in assenza di like o vendite, dà fiducia e illude di essere riusciti a buttare un’idea nel cervello di un altro, come altri le buttano nel mio.
E poi, certo, mi darebbe denaro. Non fiumi: quelli sono per pochi scrittori al mondo, ci vogliono soprattutto le ospitate tv, le traduzioni in altre lingue e i diritti tv e cinematografici per fare molti soldi. O scrivere (e pure assurdità) essendo già celebri per altri motivi (anche negativi). Ma appunto non fiumi. Ma anche fosse quello per vivere, quel poco per sopravvivere, mi piacerebbe ricavarlo dalla scrittura piuttosto che da altro: sfruttato per sfruttato, schiavizzato per schiavizzato, almeno farei quel che mi piace e, come detto, mi illuderei di aiutare chi mi legge come tanti che ho letto aiutano me.
Ma forse tutto è già stato scritto. Si può solo reiventare, reinterpretare, rimescolare con talento. Non so.
Comincio a pensare che la vita sia sempre un’occasione perduta: un po’ perché è in copia unica, ti sbattono sul palcoscenico senza nessuna prova generale. Un po’ perché ogni scelta ne uccide altre milioni in un istante, e sopportare il peso del non detto e del non fatto, del non avuto è, via via che si vive, sempre più difficile.
Alla fine, su un milione di noi, forse uno lascerà, fra gli umani, una traccia che rimarrà oltre qualche decennio, magari per secoli (vedi Attila, o Shakespeare).
Ma dopotutto è davvero importante?
Non lo so, comincio a non vedere più un senso nelle cose.
Quel che senso che prima vedevo quasi sempre.
Ma che non c’è mai stato, sia chiaro a tutti.
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