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Una vita passata a studiare può dare un colore diverso a una fine ingloriosa?
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Io ho studiato anni. Un bel ciclo di elementari vecchio stile, fatte bene nei ‘70, con una maestra (che ricordo con piacere) inflessibile e rigorosa, che ci ha davvero dato le famose “basi”.
Una normale scuola media (ma con un paio di professori sopra la... media), un liceo discretamente impegnativo (c’erano meno disordine e insubordinazione di quelle che intuisco oggi, forse anche meno incuria e minori distrazioni). E poi una scelta universitaria forse non felicissima (decidere a diciannove anni cosa farai a ventisette- ventotto è difficile) e esami come se piovesse, con voti molto buoni, anche se con ritmo sincopato (ho detto che non sono un enfant prodige).
E ho sempre studiato tanto, e con scrupolo, non solamente per sfangarla ma proprio per studiare, e ho sempre viaggiato su voti medio-alti.
Una sola insufficienza (lieve e con attenuanti) in vent’anni e rotti.
Molto intelligente? Direi proprio di no.
Grande memoria? Non banale, forse, ma grande davvero no.
Notevole adattabilità al mondo? Quasi zero (lo dicono i risultati odierni, del resto).
Semplicemente, non ero proprio “scemo” o pigro (ma nemmeno fanatico, purtroppo) e non ho mai preso in considerazione in tanti anni l’ipotesi di andare a scuola non preparato.
Si potrebbe dire che è stato comunque tempo perso quello dedicato allo studio, dato l’esito. Buttato nel cesso (anzi, gettato alle ortiche: devo far vedere che ho studiato).
In realtà non voglio contestare l’esito di un percorso, che resta meschino, da un punto di vista oggettivo, o pratico, ma dire che quello è stato tutto fuorché tempo perso.
Leggere e studiare non è mai tempo perso, lo penso anche ora che conosco la fine (modesta) del mio romanzo.
Sotto un ponte vivrò meglio, avendo studiato.
Lo so, ci ricordiamo ben poco di quel che abbiamo letto o studiato, è vero. La memoria umana ha limiti angusti e il tempo è un nemico potente. Ma ci ha comunque arricchito, ci ha cambiato quel che abbiamo letto, ha sedimentato qualcosa in noi, che non vediamo ma c’è e ci fa essere quel che siamo oggi.
Avrò disperazione e rimpianti più strutturati. Avrò esempi a cui rifarmi, storie non vissute che sentirò però mie o storie vissute ma capite più a fondo, esperienze da cui trarre conforto o ancora maggiore disperazione, chissà. Magari finirò per rubare libri e panini e non solo panini.
Certo, soffrirò di più (chi più sa, più soffre); ma saprò anche trovare un senso alla mia sofferenza, e anche il non trovarlo dopo averlo cercato mi renderà migliore, anche sotto un ponte al freddo e coi topi e gli scarafaggi ad insidiarmi o ad angustiarmi. Grazie ai miei studi, sarò più bravo anche a sentirmi vittima del sistema: non genericamente, ma in maniera strutturata e argomentata, quindi, come ho già detto, forse più disperante, ma anche più soddisfacente.
Alla luce della luna leggere alcuni versi di quella poetessa polacca premio Nobel che mi piace parecchio, o qualche riga di un delittoecastigo prelevato da un bookcrossing, mi darà qualcosa, che allevierà il mio niente.
Soffrirò, certo, forse anche di più di chi non ha studiato, è normale, ma soffrirò, come dire, con maggiore consapevolezza.
Insomma, più come un poeta gettato in un pozzo, che come una talpa finita in una trappola.
Magre soddisfazioni?
Forse sì.
Ma non mi resta molto altro, quindi faccio tesoro del poco che ho o credo di avere.
E, anche se forse mi sono espresso un po’ confusamente, penso di avervi fatto capire perché secondo me leggere e studiare può essere poco remunerativo ma non è mai tempo perduto. autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
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