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venerdì 18 novembre 2022

Non so più dove sono, ma sono





Devo scriverne ora, perché devo cercare di rendere meglio l’idea di un qualcosa che sfugge alle idee. E non so se, nonostante tutto, ci riuscirò.

Solo in certi momenti si riesce a dimenticare tutto. Te ne rendi conto solo dopo. Dimenticare tutto quello che in questa vita ci sevizia secondo dopo secondo, consapevolmente o inconsapevolmente. Tutto quello che giorno dopo giorno, piano piano, ci consuma fuori e ci sfinisce dentro. Non dura molto questo stato di ben-essere, ma dà l’idea di come sarebbero sempre le cose se ci riuscissimo non solo di rado. 

Mezz’ora (o di più? Davvero, spesso è difficile dirlo) che sembra sospesa nel nulla, senza un prima e un dopo, e senza nemmeno doversi porre il problema del prima e del dopo. Un presente che si rinnova ad ogni istante, che puoi quasi guidare, in un eterno presente che cresce e cresce e pare dover scoppiare e non scoppia e cresce, cresce e tu sei annichilito eppure corri come un cavallo terrorizzato al galoppo. Fin quando finisce e ripiombi dov’eri, e pensi che sia impossibile riuscirci di nuovo, ed in effetti non ci si riesce sempre, anzi: quasi mai. Ci vuole una concomitanza di fattori, se ne manca uno pare sempre la stessa cosa, vista da fuori, ma tu senti che, pur essendo molto bella, non è quella, non è quello stato di incredibile e stranissimo stacco dal reale che ti possiede. Non è questione di amore, può accadere con l’amore ma anche senza, e questo non lo dico per svalutare l’amore, che comunque è entità sfuggente e mutevole, oltre che, spesso, unidirezionale, ma perché sto descrivendo i fatti come sono, come li ho vissuti a volte, e anche oggi, un giorno in cui questa cosa non frequente si è manifestata veramente appieno, veramente. A differenza di altre volte, scrivendone subito riesco a essere più preciso, per quel che si può esserlo. Non riguarda solo te, coinvolge sempre anche un’altra o altre persone, o almeno quasi sempre, a volte la presenza può essere sostituita da un ricordo forte quasi come la presenza, è ancor più raro ma non impossibile, mi è successo, ma in quegli istanti, alla fine, in ogni caso, se tocchi certi apici e ti ci muovi per un po’, sai che sei comunque solo, forse vegliato, forse accompagnato ma non lo senti, tu, solo tu, senza corpo anche se il corpo ti ci sta portando eccome, tu senza nessuno, anche se altri stanno lì con te, è troppo per pensare ad altri in quel momento, ti stai perdendo e vuoi perderti, ci sei tu e questo abisso che ti chiama a gran voce e che tu vuoi fare tuo. Certo, esserci con qualcuno che senti tuo anche in vita, sarebbe potenziare una vastità già immensa. A proposito di fattori, non ho mai capito quali siano e cosa serva davvero, e so che non ci riuscirò mai. So solo che per capitare deve essere un giorno in cui davvero ti lasci andare, in cui davvero ti vuoi perdere, per sempre possibilmente, e furiosamente cavalchi quest’onda indomabile ed esorbitante, e puoi immergerti davvero in lei se solo davvero ti lasci perdere: in quegli istanti, basterebbe pensare una volta sola al rubinetto del gas (chiuso o aperto) o ai muri sottili, forse troppo sottili della tua stanza, per cadere di qua e restarci, avendo comunque un’avventura dei sensi ma nulla, credetemi, nulla di paragonabile a quella che ci devasta quando davvero dimentichiamo tutto, ma proprio tutto, meravigliosamente tutto, ma anche pericolosamente tutt, intorno a noi. Oggi ne scrivo e sento di riuscire a dir di più. Ci provo molte volte a toccare questo cielo.

Sono momenti difficili da descrivere, sei fuori di te, non sai assolutamente dove sei e cosa stai facendo, il tempo non esiste, il luogo è indifferente, di fatto in quel posto e in quel momento non ci sei, c’è il tuo corpo, immagino, e nemmeno so bene cosa faccia, a dirla tutta, è davvero troppo, in certi istanti, troppo per controllarlo, troppo per ricordarlo, troppo per non volerlo ancora, e sempre, mille volte. Non so cosa, dal mondo di fuori, potrebbe avere la forza di svegliarti da questo stato, forse una bomba. Immagino sia una sensazione paragonabile a quella di alcuni stupefacenti, senza stupefacenti. In parole povere non sai più dove sei, non vedi più luce o tenebra, non senti freddo né caldo, ma sai che sei. E allora insisti, e insisti, e i sensi ti scoppiano, e cerchi di non rompere tutto, di non farlo finire mai, perché sai come sei senza. Forse son gli unici momenti in cui sei, chissà...

Non so se tutti accedono a questa esperienza che, ripeto, è purtroppo così rara da potersi definire episodica, anche se non casuale. Sempre, cerco di toccare il cielo, solo a volte ne sfioro la delicata infinità. Dopo, sei diverso, per un po’, e ricominci a vivere, inseguendo qualcosa che non hai e che, in quei momenti, intravedi appena, ma senti in maniera fortissima. Forse è proprio la temporanea separazione dal reale, e dalla percezione che del reale hanno i sensi, a crerare questa bolla. Forse è proprio il cercarla, come faccio io, sempre, e il viverla, a volte, che ti rende ancora più insopportabile questa realtà.

Lo so, è uno dei miei testi personali che, me ne accorgo rileggendolo, molti trascureranno o abbandoneranno; potremmo anche dire che non è da Facebook, se non fosse che io qui pubblico un po’ di tutto, senza badare a questi schematismi. Forse, non lo abbandoneranno e non lo svaluteranno quelli che ci ravviseranno qualcosa di provato... Sono attimi in cui afferri quello che durante il quotidiano è sempre dietro a tutto, quasi invisibile, appena percettibile, mai raggiungibile. Certo, lo afferri, lo stringi, lo stringi con una forza che non credevi di avere, lo mordi, lo mangi, lo lecchi, lo fai tuo, del tutto tuo, senza più difese e senza più remore tuo, vorresti perdertici dentro, vorresti umiliarti e godere di questa umiliazione, e il corpo cerca di fondersi con questo quid, che solo l’anima può toccare, e lo fa smaniando in una maniera che, a ripensarci dopo (anzi, a intuirlo dopo, perché un ricordo di questo piccolo viaggio non si può avere, almeno a livello conscio), se analizzata dal di fuori da spettatori non coinvolti, per esempio una giuria all’uopo selezionata, o da un team di dottori, potrebbe anche apprire come ridicola, comica, o patologica: a volte resto stupito da quel che ritrovo quando riemergo da questo abisso elevatissimo, mi chiedo cosa è successo. Ma che forse è ridicola, non certo patologica. Tendiamo a questo, è inevitabile. E poi d’un tratto, quando sembra che stiamo per farcela, quando abbiamo quasi fatto nostra la preda, che stravolta e sconfitta, è ormai schiava dei nostri desideri e ci giura fedeltà eterna e totale, quasi moriamo, ma ci piace questo morire, fin quando vediamo che ci sfugge, e pian piano torniamo di qua, e ci sembra di non essercene mai allontanati, ma anche di essere stati via un tempo infinito, e ricomincia la ricerca...

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(Img by Irene, Pinterest) 

autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it) Per tornare alla home page clicca qui. Se questo blog ti interessa e vuoi essere aggiornato sui suoi contenuti iscriviti al mio feed oppure seguimi via mail. Se vuoi segnalare questo articolo clicca sul titolo del post e vai a fondo post.


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