A volte avresti voglia di abbracciare una persona, o anche solo di avere con lei un breve contatto fisico, ma sai che non puoi farlo perché in questa società di esseri umani si devono esprimere solo emozioni controllate, annunciate, previste o certificate ufficialmente o ufficiosamente, o logiche, cioè che possano dirsi in qualche modo manifestazione attesa e logica di un rapporto esistente e riconosciuto. Quasi tutto viene interpretato male o visto come indebita ingerenza, da chi eventualmente è fatto oggetto di una simile e innocente attenzione o da parte di chi assiste o potrà venirlo a sapere. Dipende dal sesso della persona in questione rispetto al tuo, dal suo stato civile e dal tuo, dall’età, dalle convenzioni che regolano (seviziano) le nostre misere esistenze.
E così anche un semplice abbraccio, che a volte, ma spesso no, potrebbe anche contenere promesse maggiori, che magari si sanno irrealizzabili, certo, e che magari l’abbraccio non vuole necessariamente concretizzare, diventa un sogno proibito, un atto da non compiere pena il perdere quel poco che hai, magari un’amicizia accennata o un semplice rapporto di conoscenza, che come il tappeto di una domestica infedele nasconde di più di quel che fa vedere, o pena il creare danni irreparabili in più esistenze, come se carezzare con cura o ammirazione un vaso di cristallo, per un attimo, in una cristalleria fosse di per sé garanzia certa della distruzione di interi ripiani di oggetti preziosi.
E così un abbraccio, una pacca sulla spalla, una semplice stretta di mano o una carezza accennata sul braccio diventano pericoli enormi, veri e propri denotatori da non sfiorare, e siamo costretti a proseguire i nostri percorsi di vita intralciati da masse sempre più ingombrati di fastidiosi e lancinanti non detti e non fatti, e il tutto per salvare le apparenze, sacrificando quel che davvero conta.
Eppure, come sarebbe semplice, a volte, comunicarsi affetto, appoggio, solidarietà, vicinanza, aiuto anche con un semplice contatto fisico.
Un semplice gesto di affetto non dovrebbe necessariamente preludere a una relazione sessuale, può magari contenerne la speranza unilaterale, a volte, ma senza mai esplicitarla; un abbraccio può anche solo voler dire io ci sono per te qualunque cosa ti accada, io ti stimo, tu mi piaci, non necessariamente voglio sconvolgerti la vita (appunto perché ti voglio bene), voglio solo... abbracciarti un attimo.
Un abbraccio è un momento di forza contro questo dolore perenne che è la vita, che cade veloce in un vortice fino a spegnersi. E’ un attimo sublime in una vita che spesso ci vede strisciare per terra. Un lampo di luce nel buio del quotidiano. Ma tutto questo ci è precluso.
Capita che anche chi riceve l’abbraccio ne sia sconvolto, non lo capisca: questo accade perché non prova le stesse cose dell’altra persona, e non ha la maturità sentimentale necessaria per gestire la situazione, o perché è vittima del sentire comune. Infiniti lacci legano la nostra anima, la limitano, la deprimono, tanto che a volte non sappiamo più nemmeno riconoscere un gesto così semplice e così sublime, così banale e così totalizzante. Le anime comunicano anche a distanza di chilometri, è vero, ma a volte hanno bisogno che la pelle sfiori la pelle, che due corpi si stringano con forza, che i respiri si mescolino, i capelli si tocchino, le ossa vengano strette da mani vogliose di dare.
E invece passano gli anni e quel che non abbiamo fatto o detto ci schiaccia sempre più faccia a terra. Viviamo nelle gabbie che ci siano costruiti da soli, vittime di cliché che hanno generato coazioni a ripetere schemi autolesionisti, o nelle gabbie che gli altri ci hanno costruito attorno. Fino al giorno in cui la pelle, che abbiamo negato agli altri, o che altri ci hanno negato, diventerà niente e le ossa riposeranno per anni sotto tre metri di terra o in una fredda scatoletta.
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Img: investireoggi punto it autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
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