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domenica 6 dicembre 2020

Vite sommate senza criterio l’una all’altra



Quando qualcosa si rompe spesso non te accorgi subito.
Anche perché molte volte, nella vita, sembra che qualcosa non sia più come prima e poi invece tutto rientra in silenzio nell’alveo della quotidianità.
Le volte in cui invece la frattura non si sanerà non te ne accorgi subito.
E, dopo, tutto sembra come prima ma nulla è più come prima.
Quando si rompe qualcosa di grosso generalmente non fa rumore.

Una domenica, adesso, è molto diversa da una domenica di soli dieci anni fa. Non parliamo di una domenica dei ‘90 o di quando eri adolescente.
Una settimana ha un sapore diverso. La vita è diversa, il modo in cui ti cade addosso, il modo in cui guardi al futuro e fai i conti col passato.
Siamo sempre noi, ma non lo siamo più.
Ciascuno di noi, dopo quaranta o cinquant’anni, è la somma di più persone, tutte uguali eppure così diverse. 

Aver vissuto ci aiuta a vivere, se sappiamo almeno un po’ mettere a frutto l’esperienza di vita. Ma ci impedisce anche di vivere, nello stesso tempo. E’ un coltello senza manico, con due lame. Un po’ come sono i ricordi: maneggiandoli sei destinato a tagliarti comunque.

Sembra sempre che il tempo non basti mai, per fare tutto quello che dobbiamo fare. Poi però ci guardiamo indietro e ci accorgiamo di quanto tempo è passato e quanto velocemente, e abbiamo l’esatta e dolorosa percezione di averlo sprecato in maniera orrida.

Una vita non sarà mai perfetta o buona, non sarà mai compiuta o non perfettibile. Sarà sempre incompleta e soggetta alla meschina luce del rimpianto. Anche le vite che invidiamo. Tutte le vite. Perché vivere è un gioco troppo grande per noi, è come cercare di svuotare un oceano con un secchiello, o di trattenere fra le mani l’acqua di una cascata. Viviamo, ed è tutto. Ci illudiamo e pensiamo che stiamo facendo la cosa giusta, a volte ci disperiamo e vorremmo sparire per sempre, abbiamo torto in entrambi i casi. La vita è un puzzle che manca di qualche pezzo, è un mazzo di carte difettato, è un gioco di cui sfugge il senso. E’ troppo lenta per chi sta male o non sa gestirla, troppo veloce per chi sta bene e crede di dominarla. E’ un rebus che non ha soluzione.

Oggi è domenica, esattamente come il 4 giugno del 1972 o il 6 aprile del 1986. Ma quelle domeniche sembrano così lontane che quasi pare si tratti di un’altra vita, invece era sempre la nostra. Il Tempo è un mistero insondabile dentro al mistero assoluto della vita.

Io stesso sono esattamente quello del maggio del 1969 o dell’estate del 2000, ma in realtà sono anche una persona completamente diversa. Non mi riconosco più in me, in questa vita e in quelle che ho vissuto, mi sembrano vite diverse fra loro e lontane, sommate senza criterio l’una all’altra fino a dare come risultato quello che sono ora.

Mi sembra impossibile di averle vissute, ma anche possibilissimo. E’ impossibile che fossi io, ero io di sicuro.
Mi chiedo cosa avrei fatto se avessi potuto avere a 15 o 25 anni uno squarcio sul futuro: davvero, non so. Forse, se ci avessi creduto, l’avrei fatta finita. Non perché il futuro sia stato pessimo o ricco di tragedie, non è questo il senso del mio discorso. Ma perché vedere allora quello che sarebbe stato venti o trent’anni dopo mi avrebbe demolito in ogni caso.

La vita è un percorso a ostacoli che ogni giorno ti toglie un’illusione, ti conferma un timore, ti consolida nelle tue insicurezze e ti spinge a creare artificiosamente altre illusioni e altre certezze, in una spirale perversa che ti stringe sempre più. Non ci pensi, e questa è la chiave che permette a ciascuno di noi di continuare a vivere come se fossimo immortali e onnipotenti, come se stessimo scrivendo una storia fantastica e irripetibile, quando invece stiamo solo schivando alla bell’e meglio le offese del tempo e le trappole dell’esistenza. Viviamo perché altro non si può fare, in vita.

Tutti hanno di tanto in tanto momenti di profondo smarrimento, di angoscia. Come se si spegnesse per un attimo e del tutto improvvisamente la nostra bussola. Ci sentiamo persi, chi chiediamo il perché e il percome di tutto, non riusciamo più a vedere un senso in niente, siamo in balia dell’abisso. Ebbene, non si tratta di trascurabili crisi passeggere che a volte disturbano la navigazione nel mare della vita, ma sono gli unici momenti in cui davvero siamo e vediamo davvero.

E’ impossibile non avere rimpianti. Non mi riferisco a circostanze precise: un’offerta di lavoro non accettata, una storia sentimentale finita male, una decisione sbagliata. Parlo di un senso di rimpianto generale: abbiamo la sensazione, rivedemdoci a dieci anni con gli occhi di oggi, che avremmo potuto e dovuto fare cose diverse, senza scendere nel dettaglio; diverse da quelle che ci hanno portato qui. Ci guardiamo da fuori, vediamo quello che eravamo a quell’età e proviamo un’angoscia ineffabile per quello che è stato e per quello che invece non è stato. Vorremmo tornare a quegli istanti, o forse no: sappiamo bene che tornarci con la consapevolezza di oggi sarebbe innaturale e, senza, inutile. L’angoscia nasce proprio dalla irrisolvibilità di questo dilemma, dalla ineluttabilità del percorso che fai e del rimpianto che ti consumerà.

Davvero, ripenso a certe domeniche e mi chiedo quale mondo era, chi ero io e guardando tutto questo dal punto in cui sono provo solo sgomento e disorientamento. Forse perché intuivo che sarei arrivato a questo punto, lo intuivo senza saperlo in maniera cosciente, e averne la conferma adesso, dopo anni di velo a copire il reale, è probabilmente la chiave del dolore e dell’abbandono che colora le pareti del giorno che stiamo vivendo, che sto vivendo. 

autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it) Per tornare alla home page clicca qui. Se questo blog ti interessa e vuoi essere aggiornato sui suoi contenuti iscriviti al mio feed oppure seguimi via mail. Se vuoi segnalare questo articolo clicca sul titolo del post e vai a fondo post.


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