L’amicizia è un concetto complicato. Ma avete appena pranzato e non voglio mandarvi di traverso il raviolo (o il tramezzino per i più indaffarati o misci).
Parlerò brevemente di me, un argomento che conosco poco ma meglio di molti altri (γνῶθι σεαυτόν, nosce te ipsum).
Io ho alcuni amici. E qui per “amico” adotto una definizione omnicomprensiva: “chi sarebbe davvero dispiaciuto -anche se magari per un breve lasso di tempo- se tu morissi, chi non esiterebbe a provare ad aiutarti se tu fossi in gravi difficoltà, chi incontrandoti non prova il desiderio di indirizzarti un parabellum fra molari e incisivi”. Ho scelto una definizione lasca altrimenti avrei dovuto dire che non ho amici ed è cosa brutta da dire in società.
Avendo alcuni amici, direte, sono a posto. No. Perché in effetti non ho però mai avuto un rapporto di amicizia come lo intendo io, se non per fuggevoli istanti e trascurabili frangenti. Ci ho provato, anche di recente, ma non ci riesco. Forse è un mio limite. Per me dunque il bilancio della società “amicizia” è in rosso, sia pure con andamenti contrastanti. Ora, avendo deciso (come non ricorderete, dato che mi leggete a scappatempo sempre con una mano sotto il tavolo) di non instaurare da quest’età in poi alcun nuovo rapporto che non sia di conoscenza o puramente erotico, capirete bene che si tratta anche di un bilancio pressoché definitivo, anche se never say never.
Così è. Forse è solo uno dei tanti aspetti del mio essere totalmente inadeguato alla vita degli uomini su questo pianeta. O forse è solo che ho mangiato di fretta e poco e male.
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(Img: biaglut punto it)
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