Anche l’anima può soffrire di claustrofobia. Chiamatela come volete: anima, cuore, spinterogeno. Non intendo quella immortale, questi sono altri discorsi. Intendo ciò che ti fa percepire te stesso in relazione a quel che ti circonda e al tempo passato e futuro.
La claustrofobia dell’anima è quando sei in una situazione che percepisci come senza via di uscita. Non ci sei fisicamente, ma è peggio: perché in quel caso cercheresti con tutte le tue forze di uscire, e vorresti davvero farlo, e mai ti daresti per vinto, cercheresti sempre una via, sapresti che esiste, che deve esistere. Qui, invece, non riesci quasi a respirare ma non hai una finestra da spalancare, una porta da sfondare o una parete in cui cercare un pertugio. Sei chiuso senza essere fisicamente costretto, e quindi lo sei ovunque ti trovi. E’ una sensazione orribile. Sono istanti in cui davvero tutto perde importanza, ti alzi di scatto, come per prendere aria, che però non manca, anche se ti sembra davvero che manchi. Sono istanti brutali, se durano più di una manciata di secondi possono portare a conclusioni definitive. Io ho sempre capito le dinamiche che portano a certi gesti, prima ancora di avere l’età per capire la vita e quei gesti: era una specie di sapere innato. La maggior parte delle volte questa sensazione orripilante dura pochi secondi, alzarsi e camminare già migliora le cose, ma è solo un sollievo momentaneo: se sei caduto anche solo per un fugace attimo in uno di quei pozzi, se ne hai indovinato anche per un secondo il fondo limaccioso e letale, per poi riemergere subito, è perché stai percorrendo un terreno infido ricco di trappole e di pozzi e presto ne vedrai da vicino un altro, mai sapendo, in quel momento, se riuscirai a uscirne.
autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
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