Gran Torino (U.S.A. 2008), di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley, Geraldine Hughes, Dreama Walker, Brian Howe, John Carroll Lynch, William Hill, Scott Eastwood
Trama (filmup.it): un veterano della guerra in Corea, Walt Kowalski, vive in un quartiere popolato proprio da coreani. Il suo carattere difficile, lo ha portato, negli anni, ad allontanarsi dai suoi famigliari, ed ora che nel suo quartiere si sta scatenando una banda tra bande rivali, si ritrova sempre più solo. Quando, però, le schermaglie arrivano ad interessare il suo vicino di casa, nonostante questi cerchi di rubargli la sua Ford Gran Torino del 1972 custodita gelosamente in garage, Kowalski, interviene in sua difesa, mettendo a repentaglio la sua stessa vita...
(attenzione: il testo che segue rivela qualche particolare che chi ancora non ha visto il film potrebbe non voler conoscere)
Walt Kowalski è un reduce della guerra di Corea e un ex operaio della Ford. Ha appena seppellito l'amatissima moglie e si prepara a vivere l'ultima parte della sua vita da solo, nella casa di sempre, con il suo fedele cane e con la scintillante Ford Gran Torino del 1972 gelosamente custodita in garage, con la bandiera a stelle e strisce che sventola orgogliosa sulla veranda e un fucile e una pistola sempre carichi in casa, un pratino sempre perfettamente curato sul davanti, un bancone degli attrezzi degno di un'officina, lattine di birra e sigari come compagni, oltre ai pensieri e agli incubi di una vita.
Walt non è un padre intrattabile, semplicemente non è mai riuscito a conoscere davvero i suoi figli e nemmeno gli vanno a genio gli insulsi e svagati nipoti: non comprende i giovani d'oggi, non capisce bene cos'abbiano in testa. Ora che è rimasto solo i figli vorrebbero rinchiuderlo in un ospizio, per il suo bene: sono patetici nel non capire che hanno di fronte un uomo rimasto solo ma pienamente in grado di badare a se stesso, non un relitto da parcheggiare in un dormitorio; se vengono cacciati a male parole da Walt e non a schioppettate è solo perché sono i suoi figli...
Walt Kowalski non è un vecchio burbero e asociale, anche se lo sembra: ha un conflitto non risolto dentro di sé, che si porta dietro dalla guerra di Corea che con le sue brutture lo ha segnato per sempre; crede nei valori che ha sempre avuto e non approva il mondo di oggi che di quei valori sembra essersi scordato; non è arido o violento, solo che, a chi non lo conosce, appare per prima la corazza che le sventure gli hanno costruito intorno e che lo fanno apparire così, intollerante, intrattabile e razzista, nascondendo ai più la sua vera natura di uomo tutto d'un pezzo, forse intransigente, certamente poco incline ai compromessi, ma profondamente onesto e giusto.
Walt Kowalski non è razzista, o meglio: non sopporta proprio i "musi gialli" coreani, contro i quali ha combattuto in Corea, che ha ucciso senza un vero motivo, se mai un motivo per uccidere possa esservi, che gli hanno ucciso compagni e amici in una guerra che ancora si porta dentro ogni giorno che Dio manda in terra, e che ora si ritrova come vicini di casa perché hanno di fatto "occupato" il suo quartiere, di cui è rimasto uno dei pochi indigeni. Non sopporta i coreani perché li ha combattuti in guerra, li ha odiati, li ha uccisi e perché quella guerra insulsa lo ha ucciso dentro. E in verità mal tollera pure quel coacervo di messicani, irlandesi, asiatici, africani che ha invaso il suo quartiere e i quartieri vicini, rendendolo di fatto un estraneo in casa sua. Per non parlare delle gang di delinquenti asiatici senza scrupoli e senza morale che girano per il quartiere terrorizzando le persone per bene, pronti a stuprare e a uccidere con la stessa naturalezza con cui si beve un bicchiere d'acqua.
Il sigaro sempre in bocca, una lattina di birra sempre a portata, Walt vive barricato dietro a un agguerrito ma di fatto inconsistente armamentario di triti luoghi comuni antirazziali, sino a che, lentamente e sorprendentemente, questa sovrastruttura di screzi e di rapporti tesi, di disprezzo e di risposte brusche con i vicini s'incrina, grazie a un suo intervento a difesa di un ragazzo in difficoltà che gli abitanti del quartiere interpretano come degno di un eroe e omaggiano con gratitudine vincendo la sua iniziale diffidenza e ritrosia. Dopo questo evento, e grazie soprattutto all'amicizia con il giovane vicino, che Walt salva da una brutta via e incammina su quella retta, e con sua sorella, una ragazza spigliata e intraprendente che piano piano fa breccia nel cuore di quel burbero e vecchio pistolero, Walt impara a conoscere chi ha davanti, a superare diffidenze che non hanno ragione di essere, ad aprirsi e a capire la verità alla quale tutti gli uomini veri arrivano, chi prima chi dopo, e cioè che siamo tutti uguali sotto questo cielo e che a far la differenza tra gli uni e gli altri non è il colore della pelle o la regione di provenienza, ma, semmai, la stupidità e la cattiveria. Ecco allora che siamo tutti uguali, gialli rossi e neri, la verità lampante d'improvviso illumina rapporti sino ad allora tesi e innaturali: i veri nemici sono i cattivi, quelle bande di criminali che imperversano per il quartiere, quegli squallidi bulli con la testa vuota e l'anima inzuppata di male usi a uccidere per un niente che senza esitare Walt affronta di petto perché altro, un uomo, non può fare in certe situazioni e, prossimo a morire, con astuzia condanna a una fine ingloriosa e meritata.
Clint Eastwood, una carriera interminabile e splendida prima come attore e dopo anche dietro la macchina da presa, è una garanzia e sembra perfino migliorare con l'età. Ogni suo film è un colpo al centro del bersaglio: idee chiare, storie solide, regia impeccabile e sicura e la solita recitazione che lo ha reso grande. Un bel film, un colpo secco allo stomaco che prima ti piega in due poi ti fa pensare.
autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
domenica 29 marzo 2009
Gran Torino (di Clint Eastwood)
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