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martedì 30 dicembre 2008

Ragazza, fidanzata o compagna?

Ultimo messaggio del 2008, con tutta probabilità. Ne approfitto per augurare buon anno a tutti i miei lettori (me la cavo rapidamente, quindi...). Qualche giorno di riposo: sarò via e non avrò la possibilità di collegarmi a Internet, o la rifiuterò di proposito. Oppure la cercherò con furore e trovato un pc online aggredirò l'incolpevole tastiera come un assetato farebbe con una boccia d'acqua: ancora non so quale sarà la mia reazione.
La riflessione che segue, e che ha l'onore di chiudere l'anno, mi è stata involontariamente ispirata stamane da un amico (regolarmente sposato da tre mesi), Andrea, che rispondendo a una mia mail di auguri ricambiava facendoli anche alla mia compagna e a me, che rispondevo dicendo per ischerzo: "come fai a sapere che anche lei è comunista?" ribatteva dicendo che non sapeva bene quale termine sarebbe stato meglio adoperare ma che riteneva comunque poco adeguato a me e al mio modo di pensare quello di "fidanzata". L'occorrenza ha ispirato il testo che segue e mi ha anche sollevato un poco, come sempre mi capita quando scopro che dunque qualcuno c'è al mondo ad aver capito qual è il mio modo di pensare e di essere: un giorno dovrò farmelo spiegare, perché io ancora non l'ho capito!


Come è meglio definire la donna con cui stiamo insieme, prima di sposarla? Dopo il matrimonio è facile: moglie. O una delle cento pesantissime offese che vi sono appena venute in mente leggendo queste prime righe... Ma prima? La scelta non è facile, si rischia di cadere nel banale, nel mieloso, nel formale, nell'antiquato, nel ridicolo o si rischia addirittura di offenderla. E' una scelta da ben ponderare. Alcune riflessioni possono aiutarvi a superare l'impasse o a scivolarci dentro definitivamente.

Il termine "fidanzata" sarebbe corretto, in teoria il più corretto e appropriato in assoluto, ma e' un po' retrò, presuppone necessariamente l'avvenuta consegna dell'anello e sa tanto di presentazione paludata in casa, nel salotto poco illuminato dei futuri suoceri, con le poltrone damascate e belle gonfie su cui nessuno osa mai sedersi per non rovinarle, sa tanto di rientro la sera entro le undici, di baci rubati davanti alla porta di casa cercando di non fare rumore, di padre in ansia e sospettoso che ti stringe la mano con vigore senza smettere mai un solo istante di studiarti, di madre che finge di rimproverarlo dicendogli di "lasciare in pace i ragazzi" ma in realtà e più agitata del marito, di domande prese alla lontana per sapere che lavoro fai e quanto ti rende e quali prospettive hai, di niente sesso siamo inglesi e meno che mai con mia figlia e prima di aver regolarizzato il tutto con canonica cerimonia in chiesa, di obbligo non scritto di sposarsi il prima possibile e di regalare un paio di nipotini almeno ai nonni trepidanti, ecc. Tradizionale, formale, corretto: a usarlo non si sbaglia. Si rischia di far la figura del tipo piatto e grigio ma preciso e affidabile, del bravo ragazzo che tutte le nonne vorrebbero come nipote ma che tutte le donne lasciano sullo scaffale: il sogno di ogni suocero, l'incubo di ogni ragazza.

Il termine "compagna" e' carino, confesso di preferirlo a tutti gli altri anche se, come negarlo, odora forte di sessantotto, di quell'odore intenso che ti ricorda quello delle pedule dopo una manifestazione sotto la pioggia; il pensiero corre automatico alle autogestioni, alle assemblee in cui ci si preparava a cambiare il mondo, agli slogan urlati contro il potere e alle grandi tensioni ideali. Forse lo rende un po' antipatico il fatto di essere abusato e il fatto che lo si usa anche per la bionda trentenne da sbarco che sta con il sessantenne facoltoso e all'ennesimo giro (ah, ecco, finalmente conosco la tua compagna! -sottinteso, pensato ma non detto: la tua nuova compagna), inoltre alcuni sono restii ad usarlo per la involontaria connotazione politica che emana, mentre altri lo preferiscono anche per questo motivo. Sa anche un po' di scuola, quel "compagna" che allude a lunghe mattinate passate insieme coi gomiti sul banco e a ricreazioni passate a guardarsi di sottecchi dal gruppo dei maschietti al capannello delle femminucce; compagna di scuola, compagna di banco, compagna di giochi, poi compagna di corso all'università, si spera non compagna di merende nell'accezione negativa che tale espressione ha assunto dopo le udienze di un noto processo ormai concluso. Fra tutti i termini che qui analizziamo è anche quello che più degli altri allude sotto sotto alla peccaminosa irregolarità della relazione cui si riferisce: i "fidanzati" pensano al matrimonio, lo sognano, lo organizzano, vivono il fidanzamento in funzione del gran giorno; i "ragazzi" anche, sebbene la loro giovine età li scusi ampiamente nel caso in cui il matrimonio non sia sempre in testa ai loro pensieri sbarazzini; i "compagni", invece, non puntano necessariamente all'altare, per loro la cerimonia in chiesa o comunque l'ufficializzazione della loro unione è possibile ma non inevitabile, è una delle possibilità, non l'unico e naturale approdo; la parola "compagna" sotto sotto nasconde una punta di appena accennata disapprovazione, o invidia a seconda dei casi, per due che hanno deciso di vivere nel peccato (o in libertà) la loro storia, comunque fuori dai canoni accettati da tutti. I compagni generalmente convivono, o decideranno di farlo presto. Poi magari si sposeranno, ma dopo aver avuto un figlio, per "dare sicurezza al suo futuro", o comunque dopo aver vissuto per anni more uxorio, "lontani da Dio".

Che dire del tradizionale "ragazza"? Forse e' la migliore fra tutte le varianti, o la migliore tra le peggiori... Odora di adolescenza, è vero, ma a chi dispiace tornare giovani ogni tanto, non fosse che con le parole? Sa tanto di storia momentanea però, come dire oggi la mia ragazza è lei la prossima estate chissà, dipende da quante tedesche a caccia di italian boys verranno da noi al mare il prossimo anno, ecc. Non nasconde fra le sue pieghe l'idea del futuro matrimonio, non allude a un possibile anzi probabile futuro con i figli, con le gite al mare e i pranzi domenicali dalla suocera. E' una parola che aborrisce qualsivoglia forma di impegno che sia più gravoso di decidere cosa fare il sabato sera. I ragazzi sono spensierati, si amano e nulla più, al di fuori del loro mondo non esiste nient'altro, il futuro non spaventa né spinge a far piani, il presente fagocita tutti i loro pensieri. E' una parola che sa tanto di vespetta e di storie finite con una telefonata o dopo un pianto perché lei ti ha beccato a spasso con la sua migliore amica, di promesse per la vita sconfessate dopo tre mesi, di grandi sogni irrealizzabili che però ci fanno volare, per un'estate, sulle ali della più sfrenata fantasia. Dici ragazza e pensi anche alla ragazza di una sera, o di un weekend, alla ragazza che hai conosciuto in disco la sera prima e con la quale ti sei già messo ma chissà come andrà a finire.

"Il mio amore" è una bella espressione, per carità, ma è così insopportabilmente poetica e romantica... di quel romanticismo però che ti fa rizzare i capelli in testa anche se in quel momento sei ben disposto e d'animo dolce come mai in vita tua, non di quello che di tanto in tanto ci vuole e ti riconcilia col mondo dopo una giornata dura e difficile. E' una definizione che gronda miele a bicchierate, rischia di farti salire la glicemia a mille nel giro di un solo quarto d'ora, vorrebbe ispirare dolcezza e finisce per generare tensione, può andar bene in una lettera, purché scritta su pergamena e con penna e calamaio, ma in una mail o a voce rischia di risultare fastidiosa come l'eccessiva cortesia del padrone di casa che ti ricolma di soffocanti attenzioni e che ti offre cento cose diverse in successione. Se la usi devi poi usare anche espressioni che si muovono sulla stessa falsariga come ad esempio "per il prossimo fine settimana abbiamo programmato una deliziosa scampagnata su per i boschi in cerca di castagne" o "un simile comportamento non fa parte della mia indole", anziché dire “domenica si va nel bosco” o “non mi ci vedo proprio”: è questione di coerenza, non si può mangiare con sei posate e quattro bicchieri e poi fare la scarpetta.

"Amica" è il classico caso di parola bellissima che il contesto in cui è usata rende falsissima e odiosa. L'amica è la vecchia compagna di scuola, o la fidanzata del fratello, o la ragazza bruttarella con la quale mai ci metteremmo ma che è così sensibile e così brava a raccogliere le nostre confidenze e a consolarci per le nostre pene d'amore. E' magari quella che ci ama in segreto da anni ma che sa di non poter nutrire alcuna speranza perché noi non sappiamo andare oltre l'apparenza. Ma "amica" non è la nostra ragazza o la donna con la quale abbiamo una relazione amorosa o una storia di sesso o, peggio ancora, l'amante che incontriamo di nascosto in squallidi hotel una volta la settimana mentre nostra moglie è al bridge con le amiche (quelle sì che sono amiche): quella, semmai, è l'"amichetta", e mai un vezzeggiativo è così efficace nel cambiare completamente le carte in tavola come in questo caso. Dire "la mia amica" è come barare al tavolo verde, è stravolgere il senso delle parole, violentarne la natura ai nostri fini. Certo, chi ti ama è anche tuo amico, ma non è il caso di fare i sofisti: l'amore è una cosa, l'amicizia un'altra, sebbene entrambe siano ispirate dal cuore.

Siamo arrivati a "colei che ha in mano il mio cuore" o "colei che custodisce le chiavi del mio cuore". Che dire? Da cassare senza indugio e senza pietà, con un brivido simile a quello che proviamo quando un ragno peloso ci cammina sul braccio. A parte il fatto che oggi come oggi sarebbe più appropriato dire "colei che ha la password del mio cuore" o "ecco l'unico utente che può fare login nel mio cuore", usando simili frasi si rischia di passare per tipi alquanto strani e rovinarsi pure qualche bella conoscenza. La usa chi ha la testa fra le nuvole giorno e notte o chi vuole passare sempre per originalone e non si accorge quando esagera di brutto. La vita è bella e senza poesia tutto fa schifo ma insomma c'è un limite a tutto. Anche gli stilnovisti più incalliti non potrebbero fare a meno di accusare violenti conati di vomito di fronte a simili parti verbali. Da conservare per la poesia che un giorno, particolarmente ispirati, comporremo e poi, rinsaviti, cestineremo ridendo.

Alcuni la presentano dicendo "la mia Paola": interessante variante de "il mio amore", è una versione più concreta e meno mielosa, non nasconde tuttavia abbastanza bene un forte senso di possesso che poiché esibito non risulta del tutto gradevole: quando ci si ama si è l'uno dell'altro, ma ricordarlo a ogni piè sospinto può rendere felici solo i nostalgici della schiavitù. Può rivelarsi azzeccato nel caso in cui la stiamo presentando a una coppia di amici, fidanzati anch'essi, e la donna del nostro amico si chiama Paola pure lei: in questo caso dire "la mia Paola" non sarebbe più solo rimarcare il possesso della donna-oggetto ma anche marcare il territorio e ribadire con chiarezza la distinzione tra la mia, di Paola, e la tua. "La mia Paola, ed ecco i nostri Luigi e Carolina": e vien da pensare che ad ogni aggettivo possessivo usato si intaschi una percentuale, perché non si spiegherebbe altrimenti un tale fanatismo feticistico.

A questo punto non si può non parlare di una definizione evergreen per eccellenza, "la mia dolce metà". E' un modo di dire storico, un po' casareccio e poco formale, scherzoso quanto basta senza cadere nell'eccesso di confidenza, adatto per rompere il ghiaccio, per fare i brillanti in società ma senza esagerare, è l'ideale per chi ha il sense of humour di una quercia e vuole una volta tanto far lo spiritoso senza spremersi troppo le meningi. Quanto ai difetti di una tale scelta, come nascondersi il fatto che sa tanto di coppia regolarmente sposata (e non è il nostro caso, visto che stiamo esaminando il modo più appropriato di definire la nostra... compagna) e in genere di coppia avanti con gli anni (almeno dai 50 in su)? E poi sa tanto di mela e delle due metà che si completano, in questo senso è bucolica e biblica, uno però poi si chiede se il verme c'e'già e sta lavorando nelle retrovie o se tutto fra i due piccioncini va bene come sembra di primo acchito. Passabile ma come detto poco adatta ai casi nostri, semmai potremmo usare la variante "la mia futura dolce metà": ineccepibile ma anche cervellotica.

Forse esistono altri modi di definire la donna con cui stiamo, qui abbiamo scherzato sui più diffusi. Appena avrò postato questo testo me ne verranno in mente altri trecento, già lo so, ma allora sarà troppo tardi. Au revoir.

autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)


4 commenti:

Anonimo ha detto...

mi chiedo.. ma quale sostanza usi per avere pensieri del genere? oh fammelo sapere è! visto che fanno 'sti effetti! ahahahah by giada ( continuo con la lettura di tutti i recenti articoli)

Anonimo ha detto...

Finalmente dopo tempo siamo arrivati a capire chi è il responsabile della morte di molti innocenti conigli.
La fai finita di fumarti tutta l'erba??

Un saluto da Marco Egrotelli

mauroarcobaleno ha detto...

ad anonima giada rispondo: la mattina dopo il caffè trangugio 2 maalox + 1 aspirina + 3 zigulì al limone, il tutto tritato e bagnato da un prosecco, mentre il videoregistratore opportunamente istruito mi propone l'imperdibile edizione serale del TG4 andata in onda la sera prima

mauroarcobaleno ha detto...

ad anonimo marco (che ho scoperto essere posto urbanisticamente in zona di strategica importanza) rispondo che sono i conigli stessi a rifornirmi con gli avanzi della sera prima: sono sicuro di questo, accade ogni sera poco prima di ricevere la telefonata di Gretel sul mio cellulare di marzapane!