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martedì 26 maggio 2009

Non uccidere (Krzysztof Kieslowski)

Negli ultimi mesi ho rivisitato tutto Kieslowski e la mia opinione definitiva è che si tratta di un regista di valore assoluto. Ho potuto farlo grazie alla raccolta uscita in edicola in inverno e non certo grazie alle videoteche che pullulano di boiate fresche di conio ma scarseggiano di classici ed imperdibili (non fanno cassetta, dicono: ma d'altra parte è forse diversa la situazione delle librerie? Provate a chiedere "Il sosia" di Dostoevskij e riceverete sguardi stralunati, l'ultimo di Vespa e ce l'avrete in borsa in due secondi). Oggi mi voglio soffermare su "Non uccidere" di K. Kieslowski, un film davvero eccezionale. Scegliete voi se vedere la versione breve (inserita nel Decalogo) o quella più lunga, anche se vi consiglio quest'ultima. Ordinatela via web se ci riuscite, ne vale davvero la pena.
Kieslowski affronta il tema della pena di morte che sempre ha diviso l'umanità e che ancora oggi è ben lontano dall'essere risolto: passiamo da paesi incivili che giustiziano persone solo per il loro orientamento sessuale (si fa fatica anche solo a scriverle, certe bestialità), a paesi altrettanto incivili che comminano pene ridicole a bestie sanguinarie, con nel mezzo tutta una serie di varianti che vanno dalla più giustizialista alla più lassista, con il risultato che ben di rado chi vive in un paese percepisce la sensazione che in genere si riesca davvero a fare giustizia (quella umana, intendo).
La storia, il montaggio, la fotografia sono perfetti e assolutamente funzionali al dubbio avanzato dall'autore e cioè se sia giusto che lo Stato ponga fine alla vita di un uomo che pure abbia ucciso. Ma, e anche qui sta la grandezza del film, tutto quel che sembra costruito con arte sapiente al fine di convincere lo spettatore della disumanità della pena capitale è al contempo perfettamente funzionale (forse ben più di quanto fosse realmente intenzione del regista) anche al convincimento opposto e cioè che certi crimini efferati non meritano punizioni diverse. Vediamo di precisare meglio.

Innanzitutto un cenno alla storia raccontata, in breve (ci avvaliamo di http://cinedrome.splinder.com/tag/krzysztof+kieslowski):
"La telecamera, in una fotografia dominata dalle tonalità del giallo-verde, segue i movimenti di due personaggi: un giovane difficile,che si aggira senza meta per la città, e uno squallido tassista dai comportamenti fastidiosi e volgari. Il giovane in un raptus di violenza ferina uccide barbaramente il tassista a scopo di rapina. Sarà a sua volta "ucciso" dalla legge del suo paese, condannato all'impiccagione. Sullo sfondo la storia amara di un giovane avvocato, strenuo oppositore della pena di morte. Chi commette il peccato in questione?"

Senza dubbio il film vuole essere un durissimo atto d'accusa nei confronti di un sistema giudiziario quale quello polacco del tempo che prevede la pena di morte, dipinta come un rimedio peggiore del male, una pena disumana, una punizione estrema e barbara che l'uomo non ha diritto di applicare a un altro uomo, una misura che non ha nessun effetto deterrente, una legge del taglione che mira solo a soddisfare la sete di vendetta senza alcuna possibilità di redenzione per il colpevole e di perdono per il colpito; va anche dato merito a Kieslowski di aver lanciato questo atto d'accusa in un periodo in cui non era facile farlo. Tuttavia, per come la vedo io, è la stessa struttura della storia (costruita in modo perfetto), forse anche al di là, come detto, delle stesse consapevoli intenzioni dell'autore, a fornire argomenti anche a chi, pur non trovando certo piacevole sopprimere una vita, ritiene che di fronte a determinati crimini altra risposta non vi possa essere, in nome di un senso di giustizia universale sempre difficilmente definibile, ma sempre chiaramente avvertito dentro di noi.

Se l'esecuzione della sentenza è descritta dal regista in maniera mirabilmente fredda e agghiacciante, fin nei minimi particolari, con una cura e una precisione del dettaglio quasi maniacale, con i secondi che cadono come pietre nel nostro animo, come le gocce del lavandino che la notte ci torturano quando siamo a letto, per una prova di regia che definire superlativa è riduttivo e che da sola potrebbe valere a Kieslowski la cittadinanza nel regno dei grandi registi di tutti i tempi, anche senza considerare le altre sue inarrivabili creazioni (Decalogo I-X, Trilogia dei colori, Senza Fine, Il caso, ecc.), anche il delitto di cui si rende colpevole Jacek è però descritto in maniera insopportabilmente lucida e spietata (alla prima proiezione in terra di Francia molti abbandonarono la sala): più di sette minuti di cruda, insensata e incredibile violenza di un uomo nei confronti di un altro uomo e per di più per futili motivi, ammesso che ve ne possano essere di meno futili per giustificare simili azioni: una escalation di bruta disumanità che mina alle fondamenta le regole base dello stesso vivere civile e, da uomini raziocinanti abituati a domare l'istinto disciplinandolo nella irrinunciabile gabbia della convivenza sociale, ci fa ripiombare in un attimo negli abissi senza valori di esseri primitivi, semplici bestie assetate di sangue. Una lunga sequenza in cui i valori umani sono come sospesi nel nulla e il male ha campo libero e che ci porta lentamente a pretendere per il colpevole una punizione altrettanto esemplare che poi però, e qui sta la grandezza del progetto, viene descritta in maniera tale da farci nuovamente precipitare nel tormento di mille dubbi morali: a ben vedere, gli stessi che ancora oggi non ci permettono di risolvere una volta per tutte l'annosa questione della pena di morte. E anche la preparazione dell'evento, con l'occhio della telecamera che, in una città livida e spettrale, quasi si riflettessero nel cielo gli abissi di malvagità e di disumanità che da lì a poco esploderanno in tutta la loro brutalità, si sposta dall'uno all'altro dei protagonisti, marcandone di entrambi gli aspetti più umani e quindi peggiori, è frutto dei virtuosismi di un vero genio della macchina da presa.

Ecco quindi che, pur restando l'atto d'accusa di Kieslowski nei confronti della pena capitale, il film, come tutte le opere di grande livello morale oltre che artistico, riesce a muovere sentimenti contrapposti in chi lo guarda e a far sì che si ponga interrogativi fondamentali: in questa capacità, oltre che in una tecnica realizzativa formidabile, sta il genio di questo notevolissimo regista polacco. Opere come "Non uccidere" e "Senza fine" sono già più che sufficienti a celebrare come merita Kieslowski; se poi avrete la pazienza di ripercorrerne, come sto facendo io di recente, l'intera filmografia, vi accorgerete di quanta profondità di pensiero si annidi nelle sue creazioni e di come essa sia sempre perfettamente intrecciata a una maestria registica che a tratti lascia a bocca aperta per i suoi virtuosismi mai fini a se stessi ma sempre funzionali alla storia e capaci di esaltarne gli aspetti più veri e più significativi.

Kieslowski affronta temi universali (Dio, il peccato, il senso della vita, il caso) e sempre riesce a sconvolgere le prospettive di chi pensa di aver raggiunto su questi temi una consapevolezza definitiva. Pone nuovi perché, spinge a pensare; non giudica, non scrive favole con la morale incorporata, ma lascia trarre allo spettatore le conseguenze di quel che la sua cinepresa registra. Quel che racconta e come lo racconta sono le due facce della lama dello stesso coltello: quello con cui penetra nella nostra coscienza e mette tutto in discussione, costringendoci a cambiare idea o a vederci confermati in quella che avevamo ma solo dopo un ulteriore, salutare e conflittuale esame di coscienza.

Krzysztof Kieślowski (Varsavia, 27 giugno 1941 – Varsavia, 13 marzo 1996) è stato un regista, sceneggiatore e documentarista polacco.
Filmografia essenziale:
Tre colori - Film rosso
Tre colori - Film bianco
Tre colori - Film blu
La doppia vita di Veronica
Decalogo 1-10
Non desiderare la donna d'altri
Non uccidere
Senza fine
Destino cieco - Il caso
Il cineamatore

autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)


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