"Fuori menu" è un film che dice pane al pane e vino al vino senza curarsi delle possibili reazioni a un linguaggio esplicito perchè vero e a una storia rivoluzionaria perchè semplice e reale e, quando questo succede, di solito i cosiddetti benpensanti (che benpensanti sono poi di nome ma non di fatto) si scandalizzano. Il tema è scottante e il linguaggio è libero: due fattori di troppo per un paese come l'Italia, sulle cui spalle grava col suo insopportabile peso la presenza e l'ingerenza della Chiesa cattolica che condiziona pesantemente il sentire comune, determina le scelte politiche, influenza senza averne il diritto molti aspetti pratici della nostra vita di cittadini e tarpa le ali alle ambizioni laiche di un paese libero e democratico.
Il film è spagnolo e ancora una volta abbiamo la prova che la Spagna è attualmente molto più progredita di noi in fatto di sentire comune, di diritti civili, di fermenti culturali, oltre che in termini strettamente economici: solo una società più evoluta e più libera, più effervescente e più vitale, che perfetta non è ma che pensa da grande, può dar vita a un film come questo e realizzarlo in questo modo: da noi analoghe premesse finirebbero invariabilmente per generare insopportabili fiction ipocrite e buoniste o film di nicchia pesanti a artificiosi subito messi all'indice e bollati come demoniaci.
Concentrandoci sull'aspetto artistico, il film si basa su una storia credibile e che ha spessore, e questo è sempre un ottimo punto di partenza per un film che abbia ambizioni; ha ritmo, è spassoso, fa riflettere. Sempre realistico, esplicito ma mai volgare, spumeggiante, spesso sopra le righe ma mai forzato, commovente nel finale, quando l'inevitabile lieto fine ci consegna un messaggio che tanto banale, se ci si pensa, non è. Velilla tratta temi per noi delicati come se fossero usuali e scontati e riesce alla fine a trasmetterci un appagante e tranquillizzante senso di normalità, oltre alla soddisfazione per una riconciliazione familiare a lungo inseguita; se sui titoli di coda ti trovi a pensare che è quello il mondo in cui vorresti vivere e quello è il modo di pensare che vorresti conquistare o che vorresti scoprire negli altri vuol dire che qualcosa, nella società a cui appartieni e nelle teste dei tuoi simili, non funziona.
Il clima del film, la storia, l'epilogo rappresentano in fin dei conti un punto di arrivo o comunque una tappa desiderabile ma ancora lontana per società come la nostra ancora impastoiate da lacci e laccioli religiosi e finto moralisti.
Anche se non mancano i classici luoghi comuni che sempre perseguitano le persone omosessuali, essi tuttavia non sono mai pesanti o posticci, sembrano anzi funzionali al tutto: non caratteri superficiali e banali fini a se stessi ma parte integrante di una miscela dosata con equilibrio. Javier Càmara (il cuoco Maxi) è addirittura stupefacente ma nel complesso tutti gli interpreti forniscono prove di rilievo. Il regista tratta il tema dell'omosessualità per mostrare come ancora vi siano in Spagna residui di omofobia e di machismo nonostante i notevoli passi avanti compiuti in questo senso negli ultimi anni; alla fine riesce ad evidenziare come gli affetti, nella vita di un uomo, non debbano perdere la loro centralità, anche a costo di dolorose rinuncie professionali.
Tra frizzi, lazzi e gag divertentissime assistiamo all'evoluzione di un difficile rapporto padre-figlio e agli alti e bassi di un non meno complesso rapporto tra datore di lavoro e dipendenti, entrambi recuperati grazie alla voglia di mettersi sempre in gioco, al desiderio di conoscere gli altri e di accettarne la natura, alla capacità di capire cosa conta di più nella vita e cosa meno e al bisogno di assumersi, sia pure in ritardo, le proprie responsabilità, ammettendo magari di avere sbagliato, se è il caso. La diversità viene dunque vista come ricchezza e non come pericolo e viene vissuta con leggerezza, senza complessi, al massimo con un po' di prudenza ma comunque con normalità, col sorriso sulle labbra e il cuore aperto, perchè in fin dei conti accettarsi è il primo passo per essere accettato dagli altri e per saper accettare gli altri e perchè, come ho letto su un manifesto di un qualche gay pride, "l'amore tra uguali, non è poi così diverso".
Un film che consiglio ai razzisti, agli omofobici, ai possessori di verità universali che negano diritti e possibilità a chi non è eterosessuale represso e perbenista: può sempre capitare che d'improvviso un lampo di luce vi illumini la mente e questo film potrebbe riuscirci. Tu vedi "Fuori menu", ridi, rifletti, piangi, ridi di nuovo e alla fine capisci che non viene da un altro paese ma da un altro mondo. Complimenti al regista, allo sceneggiatore e alla produzione per il coraggio dimostrato, per il talento espresso e per la profonda leggerezza e la deliziosa brutalità che la pellicola mantiene per tutti i 110 minuti.
Fuori menu (Fuera de carta), Spagna 2008, 111', di Nacho G. Velilla, con Javier Cámara, Lola Dueñas, Carlos Leal, Fernando Albizu, Fernando Tejero, Benjamín Vicuña, Jorge Alonso, Cristina Carretero Yiyo Alonso, Alejandro Cabrera
Trama (grazie a http://www.cineblog.it/post/15727/fuori-menu-fuera-de-carta-recensione-in-anteprima): Maxi crede che la sua vita sia perfetta: è un cuoco di riconosciuto prestigio, proprietario di un ristorante di moda nel quartiere gay di Madrid, sogna di conquistare una stella sulla Guida Michelin e vive la sua omosessualità senza complessi. Improvvisamente irrompono nella sua vita i due figli avuti da un precedente matrimonio di facciata ed un nuovo vicino di casa, una ex stella del calcio argentino molto attraente. La tranquilla vita di Maxi subirà qualche violento scossone che lo costringerà a riconsiderare la propria scala dei valori…
autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
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venerdì 18 settembre 2009
Fuori menu (di Nacho G. Velilla)
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