E' giunto il momento di dire qualcosa di più a proposito di "Luca era gay" di Povia, un'opera destinata a mio parere ad entrare di diritto nel non ristretto numero delle più assurde boiate festivaliere di sempre. So bene che lo scopo di Povia è presumibilmente quello di far parlare della canzone (o perlomeno: il fatto che se ne parli, benché male, non deve far schifo ai suoi discografici) e so bene che questo obiettivo si sta realizzando facilmente: non si discute d'altro da settimane e ancora il Festival non si vede all'orizzonte. E' sempre quello lo scopo, quando fai una canzone sui gay o sull'aborto o su temi analoghi senza saperne nulla e ti preoccupi pure di sparare assurdità. Ma poiché non si può passare sotto silenzio una malefatta solo per il timore di darle nel contempo visibilità (che comunque avrà sul palco), dobbiamo parlarne e dire la nostra. Noi saremo letti da qualche centinaio di persone, Povia sarà ascoltato da milioni di spettatori, la differenza di amplificazione del messaggio è abissale: nei suoi panni tuttavia noi preferiremmo sprofondare sottoterra piuttosto che sostenere su un palco certe ridicolaggini da pernacchia, ma evidentemente lui è soddisfatto così: i gusti sono gusti, si sa (d'altra parte anche lui ha ammesso di aver avuto gusti un po' così, per sette mesi...).
Il Festival di Sanremo ancora non c'è stato, ma già qualcuno ha potuto ascoltare il testo della canzone che sarà presentata da Povia. Il resoconto di chi ha ascoltato il pezzo (Gino Castaldo, Repubblica, 21/01/2009) unito alle anticipazioni degli ultimi giorni, alle interviste dello stesso Povia e al fatto che, se permettete, noi non siamo nati ieri ci permettono di commentare a ragion veduta ancor prima di ascoltare la canzone: non saranno le note sul pentagramma a modificare il significato di un testo.
La storia raccontata non è brutta o bella, non ci interessa in questa sede far critica musicale: semplicemente è basata su teorie non dimostrate dunque fasulle e omofobiche, per giunta trattate con superficialità: questo può essere a mio avviso un appropriato e sintetico giudizio sul pezzo discusso. Consapevolmente o meno (la differenza non conta, dato che Povia è maggiorenne) la canzonetta che allieterà la città dei fiori fa passare un messaggio così riassumibile: Luca era gay perché in famiglia ha avuto cattivi esempi, una madre iper-possessiva e un padre assente e perché ha incontrato un anziano pedofilo che ha sostituito la figura paterna; quando però incontra una lei (che fa rima con gay, e questa rima mi pare la cosa migliore del pezzo...), apre gli occhi e si accorge che l'amore di una donna è in grado di dare maggiore felicità di quello di un uomo: si accorge dunque di non essere gay, o meglio supera quello stato di infelicità e raggiunge una maggiore felicità. Nel testo non si parla di esplicitamente di guarigione o redenzione, ma vi si allude chiaramente, il che è forse peggio, e in ogni caso è palese l'accento sul passaggio dallo stato di gay, descritto come uno stato infelice e causato da disagi familiari infantili e adolescenziali e da incontri sbagliati a quello di uomo, visto come uno stato felice e realizzato. L'omosessualità dunque, anziché essere (come è) un orientamento naturale dell'essere umano, uno dei vari possibili orientamenti e identità sessuali, diviene una fase transitoria, sbagliata e indotta da devianze e mancanze esterne, dalla quale si può ed anzi è auspicabile uscire. Parlando francamente, facciamo fatica a pensare che una persona possa davvero avere idee simili, ma così è.
Sia chiaro, non vogliamo certo la censura, ma è indubbio che dare spazio a una simile canzone sia grave, come lo sarebbe permettere l'esposizione di una teoria negazionista, specie se a farlo è quello stesso servizio pubblico che non dà altrettanto spazio alle ragioni avverse e dunque fa disinformazione, né del resto si preoccupa minimamente di contrastare l'omofobia crescente in questo paese (spesso portata avanti da gente così istruita da non sapere nemmeno il significato del termine omofobia, ogni riferimento alla concorrente di un reality è puramente voluto), anzi la asseconda, la accarezza, la blandisce. Ecco quindi che in una società civile (per intenderci, quella che riconosce pari diritti civili a tutti, cosa che oggi non è) si potrebbe anche tollerare un testo come quello di Povia a Sanremo, dove verrebbe ascoltato ma anche bollato facilmente per quello che è; in una società come l'attuale, invece, che è profondamente razzista, che coccola le derive omofobiche e che non dà spazio (se non con l'intento di ridicolizzare) a chi espone pareri diversi, permettere a un Povia di srotolare in prima serata le sue idee bislacche è ingiusto, incivile, discriminatorio e indegno.
In Italia, paese in cui per diventare maitre à penser e pontificare su temi delicati dal pulpito di rivistucole è sufficiente essere famosi (qualunque siala ragione per la quale lo si è), Povia ebbe a dichiarare, fra le altre cose, che "sbaglia chi crede che gay si nasce", "i miei si separarono quando ero piccolo. Rimasi solo in un ambiente tutto femminile, giocavo con le bambole", "T’innamori di un maschio perché è quello che vorresti essere", "Non può esistere stabilità e fedeltà nel mondo gay". Dalle sue interviste emerge chiaramente che Povia è un militante o sostenitore dei gruppi di terapie riparative fondate dall’americano Joseph Nicolosi, anche se non è mai detto. E’ convinto (così si deduce da quel che scrive e dice) che l’omosessualità possa e debba essere sanata e che il rapporto d’amore tra due uomini sia per natura destinato ad essere effimero e compulsivo. Insomma, come afferma Aurelio Mancuso presidente nazionale Arcigay, "il cantante utilizza tutto l’armamentario delle organizzazioni cattoliche integraliste. Quindi la canzone, al di là delle edulcorate parole che saranno state scelte, è il manifesto politico di un movimento religioso, che è stato più volte smentito dalla scienza, dagli Ordini degli psicologi e degli psichiatri e si prefigura come un’associazione atta a propagandare teorie fondate sull’esaltazione del pregiudizio e dell’ignoranza".
Ora, una canzone, per quanto semplice, ha sempre un significato, vuole sempre comunicare un'emozione, un messaggio, così come un quadro, un libro, una manifestazione del pensiero, un'opera d'arte: non è dunque sbagliato o eccessivo voler veder qualcosa dietro al testo di una pur semplice canzonetta festivaliera, tenuto conto poi dell'enorme impatto che ciò che si dice dal palco di un festival così seguito può avere sui giovani e su chi, omosessuale, vive già con difficoltà estrema la sua condizione a causa degli atteggiamenti retrivi e razzisti di chi lo circonda. E quello che vediamo in questo caso, quello che traspare con un'evidenza tanto semplice quanto velenosa è proprio brutto e non ci piace per niente.
Ecco dunque la lieta novella: gay non si nasce ma si diventa, e a diventarlo sono quegli sfortunati che hanno un'infanzia difficile, genitori assenti o inadeguati, anziani che li circuiscono: dobbiamo provare compassione per loro, vanno aiutati, solo con il nostro aiuto potranno tornare ad essere come noi, come è giusto essere. Propongo di fare il prossimo Telethon a favore dei gay! Si può sempre tornare, quindi, allo stato "normale": basta prendere un'aspirina, anzi no... basta incontrare la donna giusta. Lo stesso Povia ha dichiarato di essere stato gay ("per sette mesi" ha detto, sic), ma di aver poi cambiato strada e di aver pure convinto ("convertito", dice) due amici che si credevano gay e che non lo erano, tanto che poi si sono sposati! (come se questo bastasse a definirti non gay). Tanta ingenuità ci divertirebbe, se non ci disgustasse come prendere in bocca un topo morto. Quindi si è gay per sette mesi come si ha la broncopolmonite per venti giorni o la gamba ingessata per quaranta: sono infortuni da cui ci si riprende, che diamine! Basta volerlo, o aver fortuna, o essere aiutati da chi è più fortunato di noi e non è (brrr..) gay.
Ipotesi 1: Povia non pensa quel che sostiene, è tutta una tattica di auto-promozione: disgusta in ogni caso che si possa speculare solo per ragioni commerciali su certi temi che per molte persone si traducono in una vita d'inferno stante l'omofobia del paese in cui viviamo.
Ipotesi 2: Povia pensa quel che dice. E' legittimo credere in quel che si vuole, io posso pure credere che Hitler fosse un santo, tuttavia se lo affermo in pubblico qualcosina rischio, direi... Noi crediamo di più a questa seconda ipotesi (non che Hitler fosse santo, sia chiaro: era solo un sanguinario criminale, ma all'ipotesi che Povia pensi davvero quel che sostiene) e il disgusto non diminuisce.
Ringraziamo Bonolis per la scelta che ha compiuto e gli auguriamo amichevolmente parecchie grane (l'Arcigay non starà a guardare e farà legittimamente sentire la sua voce), la Rai e Mediaset perché tollerano sempre l'omofobia imperante (ultimo caso: la concorrente del Grande Fratello che ha pronunciato frasi intollerabili e gravemente offensive verso milioni di persone non sarà espulsa, ma se avesse anche solo bestemmiato a mezza bocca sarebbe stata polverizzata), ringraziamo Povia per gli insegnamenti che cerca di impartire ai genitori, ci auguriamo che a causa dei suoi deliri nessuna di quelle persone che già oggi sono emarginate e discriminate abbia a soffrire di più di quel che già soffre, senza aver fatto alcunché di male, a causa di queste insensatezze musicate .
Dottor Povia, lo confesso: anch'io sono stato gay, ma per nove ore e tre quarti solamente. E mia madre, che era fuori per lavoro, si è persa questa mia fase. Ora però sono guarito.
Chiudo con un consiglio: copritevi bene, la sera, meglio mettere la maglia di lana; potreste prendervi l'omosessualità, e allora sì che sarebbero cavoli amari, altro che raffreddore.
autore: mauroarcobaleno (blog.mauroarcobaleno.it)
venerdì 23 gennaio 2009
Dottor Povia, lo confesso: anch'io sono stato gay, ma per nove ore e tre quarti solamente.
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